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27 – Let the light in
Seconda uscita ufficiale per i 27 e secondo bersaglio centrato. "Let the light in" è un disco che non smette mai di ammaliare, dalla prima all'ultima nota. La band di Boston ha trovato la via ideale da percorrere, facendo principalmente affidamento sulla coesione dei suoni e sulla splendida voce della cantante Maria Cristopher, vero asse intorno al quale ruota l'orbita del gruppo.Elettronica, rock duro, fasi psichedeliche: nella proposta dei 27 gravitano svariati stili, mescolati con soave eleganza e giusta ricercatezza. Per tentare qualche accostamento (per altro molto ingiusto nei confronti di un quartetto tanto personale) potremmo citare PJ Harvey e Portishead. Uno spirito in qualche frangente contaminato con l'anima ruvida e minimalista degli Isis (non a caso sono ospiti sul disco Jeff Caxide e Aaron Turner, il quale si è anche occupato dell'artwork). E fa proprio un certo effetto notare come la band di Boston abbia licenziato il disco di debutto sotto l'egida della Relapse e ora continui la propria opera con il supporto della Hydra Head. Etichette che trattano materiali sonori non proprio tranquilli... In effetti la proposta dei 27 si muove agile tra i sentieri del trip hop, del post e dell'indie rock, tuttavia senza rimanere troppo legata agli stilemi propri di questi generi. Spesso infatti vieni fuori una vena post punk, in altre fasi il gioco elettronico si fa più pressante e prende il sopravvento. Segno di grande personalità, di una certa classe e soprattutto di un gusto compositivo fuori dal comune. Brani come "Try (part 2)" e "April" sono veri e propri gioielli: il primo è un perfetto crossover tra rock e trip hop, condito da una melodia sublime; il secondo amalgama parti psichedeliche sottolineate da un dolce flauto e vibranti scossoni elettrici. Lo stesso dualismo lo evidenziano altre perle di delicatezza come l'iniziale "The cause" e la conclusiva "Night", episodio dai vaghi sapori orientali. Insomma, "Let the light in" è un turbinio di grandi emozioni, dosate con grazia e sopraffino portamento, come dimostrano ancora "Every day" e "Make love not war". Ci vuole poco, basta inserire il cd nel lettore ed il sogno comincia. Un applauso ai 27: nell'attesa di un lavoro sulla lunga durata hanno già mostrato come sia facile rapire l'animo degli ascoltatori. Alessandro Zoppo
2DISTANCE – Non Calpestare Il Puzzle!
I 2Distance si sono formati stringendo amicizia e scambiando opinioni sul web, e questo loro primo demo è stato composto per strati successivi, partendo dalle linee ritmiche dal batterista Sjianni, poi completato autonomamente dal basso di Cointreau, da tutte le parti di chitarra ad opera di Bianconiglio (?) e dalla voce di Dan. Il risultato non è deprecabile, visto che “Non Calpestare il Puzzle!” non è altro che un collage (per l’appunto…) di sensazioni e schegge emotive che prendono corpo dal rock di Aerogramme, Verdena, Mars Volta, a cui si somma un velo di certa post-psichedelia più moderna influenzata da Tool, Pelican, Amplifier e Motorpsycho.“Tudine”, “Asia” e “Jada” sono esemplificative in questo senso (e diciamolo: sono canzoni che si ascoltano con piacere), condensando soluzioni e passaggi tipici dei migliori gruppi degli ultimi anni, interpretate con feeling inaspettato da Dan, cantante che si difende bene anche in inglese: prima nella versione ‘modernista’ di “Eleonor Rigby” (lo diciamo di chi è?...) e in “Velenia”, brano magmatico e avvolgente che intreccia shoegaze e dark rock, che poteva essere approfondita, date le buone premesse. I quattro sono validi, come “esperimento” può considerarsi riuscito, perciò volendo si potrebbe trovare un compromesso e suonare tutti assieme in sala prove, anche perché nel complesso i 2Distance sono più consistenti di molto rock indipendente italiano… Roberto Mattei

Categoria: Recensioni