Electric Wizard + Doomraiser
Init Club, Roma – 11/03/2011

Il dubbio è stato definitivamente sciolto: gli Electric Wizard con “Black Masses” intendono la nera massa di suono che esce dai loro amplificatori. Un grumo nero di sabbatthismo rivitalizzato per il terzo millennio che, spogliato da tutti gli orpelli iconografici, rimane duro e definitivo. Ma procediamo con ordine.

La serata romana dell’Init si presenta carica di aspettative. Molti sono i fan venuti a vedere dal vivo le nuove espressioni della musica del destino, complici del buon vecchio BJ che nella capitale è ormai sinonimo di giuste scelte, precisione e buon gusto. Si inizia proprio con il suo gruppo, i Doomraiser che, in attesa della pubblicazione del terzo album, prevista per il 13 maggio 2011, ci propongono una quarantina di minuti di classic doom dalle venature post metalliche.

Sembra di essere tornati nel Maryland nei primi anni Novanta, in casa Hellhound, quando le prime band della scena si esprimevano con formazioni come Iron Man, Unorthodox, Wretched, Blood Farmers, garanzia di bontà della scrittura e originalità delle composizioni. Si parte lentamente come se il mostro stesse appena risvegliandosi, poi vengono nell’ordine “The Age of Christ”, vero e proprio inno della band con un ritornello accattivante; un pezzo nuovo intimista e riflessivo che fa apprezzare lo sconfinamento dal doom verso la psichedelia nera e la finale “Rotten River” che con i suoi cambi di tempo tramortisce i timpani e qualsiasi ancoraggio alla realtà.

Lo stregone sta per iniziare la sua cerimonia. Il feedback che risuona ancora nelle orecchie non è svanito e riprende a pulsare intorno a “The Chosen Few”, primo brano non eseguito proprio perfettamente con una band un po’ scoordinata a causa della stanchezza che ne consegue quando si gira mezza Europa in un mese scarso. Non importa: il resto del concerto degli Electric Wizard segnerà un continuum tra affiatamento e concatenazione di riff assassini.

Il suono si allarga, prende il largo verso una destrutturazione heavy space e l’ancora della pesantezza doom viene più volte mollata per esplorazioni circolari che causano negli ascoltatori l’effetto di una piacevolissima trance. La voce di Justin Oborn è ammaliante nella sua acidità tipica di un novello Ozzy Osbourne (nomen omen!), i riff di Liz asciutti e abrasivi al tempo stesso, il basso di Tas emerge dalle viscere della terra come un terremoto e il tribalismo di Shaun rende la batteria uno strumento simile a un tankard amplificato: sopra questa base si intrecciano lunghi soli wah-wah come siero mortale.

Difficile fare una distinzione fra i brani tanto sono prossimi i riff tra una canzone e l’altra anche se si devono segnalare una esecuzione di “Witchcult Today” da brividi e una “Satanic Rites of Drugula” lisergica e evanescente come le ombre che riesce ad evocare. “The Nigthchild” riesce a condurre la musica pesante verso gli utopici anni del Flower Power con una naturalezza sconfortante, quasi fosse la cosa più naturale del mondo intuire una continuità tra Black Sabbath e Seeds; “Black Mass” è il risultato di come potrebbe suonare una litania doom se si riuscisse a rompere il muro della musica mainstream. “Dopethrone” chiude un’ora di spettacolo visionario e apocalittico e, sì, hanno ragione: il trono di dope band appartiene sempre a loro.

La solita mancanza di bis non fa rimpiangere la completezza dello spettacolo e si esce con nelle orecchie il solito feedback lancinante che ci fa planare sulla terraferma dall’iperspazio in cui eravamo, tutti, a galleggiare…
Il destino è nefasto. Il destino è Electric Wizard. Stay Doom!

Eugenio Ex