FATSO JETSON
Roma – Sinister Noise Club
Fate largo, arriva Boomer. La soluzione è semplice: prendete il rock’n’roll, quello grezzo e avvolgente. Andate indietro ai tempi del blues incandescente di Muddy Waters e della surf music. Aggiungeteci un fondamentale sostrato punk, la folle genialità del free jazz, il rock duro ed essenziali tocchi psichedelici, quelli che non devono mancare mai. Il risultato? Quattro signori californiani di nome Fatso Jetson. Una delle esperienze più significative nella musica dal vivo cui sia capitato di assistere negli ultimi anni. E si capisce bene perché l’attesa fosse così forte: la band capitanata da Mario Lalli si è sempre esibita poco live. Eppure è la dimensione nella quale sguazzano, da grandissimi musicisti quali sono.
Ad aprire la serata ci sono i Black Rainbows, ormai di casa al Sinister Noise. Per il trio romano è facile scaldare l’atmosfera: suoni perfetti, un muro di suono che deve tanto a nomi storici dello stoner (Kyuss, Fu Manchu, Nebula) quanto a soluzioni smaccatamente seventies e a fenomeni come Orange Goblin e Dozer. Daniele e Marco sono una sezione ritmica rodata e possente, ideale per le cavalcate di fuzz e wah wah di Gabriele. Tra una “Bull & Bones” e una “Under the Sun” viene promosso il nuovo ‘Carmina Diabolo’, edito da Longfellow Deeds Records e distribuito da Goodfellas anche in un bellissimo doppio vinile rosso. Dimostrazione di come la scena heavy psichedelica italiana abbia ormai raggiunto livelli qualitativi tali da poter competere con qualsiasi produzione europea.
Concluso lo show, la strumentazione dei Black Rainbows resta sul palco. Quella dei Fatso Jetson a Roma è la prima data del loro ritorno in Europa, che si concluderà con l’esibizione al Roadburn di Tilburg. Purtroppo nello scalo effettuato a Philadelphia, chitarra e basso del gruppo sono stati smarriti. Ci si attendeva dunque uno show sottotono, complice un problema del genere. Dubbi spazzati via non appena Mario Lalli, Larry Lally, Tony Tornay e il nuovo acquisto Vince Meghrouni mettono piede sul palco. La furia, la tecnica, la classe dei Fatso sono componenti unici: ecco cosa significa esser stati ribattezzati da più parti come i padri del desert rock. D’altronde bastano le angeliche note della sublime “Bored Stiff”, il blues assassino di “Orgy Porgy” o il rock’n’roll corrosivo di “I’ve Got the Shame” a rendere indimenticabile ciò cui si sta assistendo. Mario è un chitarrista e frontman eccezionale, regge il palco con istrionismo e una presenza carismatica (nonostante non abbia il “peso” di una volta). Tony Tornay è un batterista d’estrazione punk hardcore (oltre che dal tipico look californiano, shorts e snookers belle fresche), potente, preciso e massiccio; Lally è quasi immobile, occhi chiusi e groove da togliere il fiato; Vince Meghrouni è la sorpresa, un distinto signore che tra sax e armonica piazza zampate degne di uno John Zorn in libera uscita ad un raduno garage beat. “Light Yourself on Fire”, “Too Many Skulls”, “Itchy Brother” e “Pig Hat Smokin’” sono solo altri frammenti di una serata da mandare a memoria, perché dimostra come il “blues punk del deserto” sia un fenomeno da assaporare dalla prima all’ultima goccia di sudore. Anche perché quando Mario si toglie gli occhiali, li getta a terra e continua il suo pazzesco solo di chitarra, non si può far altro che inchinarsi dinanzi a tanto genio. Ora l’attesa per l’uscita del nuovo album ‘Archaic Volumes’ si fa davvero spasmodica.
«Il suo è culo, la mia è classe, caro il mio coglionazzo!». E allora che sia così, che siano flames for all!
http://www.myspace.com/fatsojetson
Alessandro Zoppo