Fuzz Club Eindhoven 2018: 24 e 25 agosto – Effenaar, Eindhoven

Fuzz Club Eindhoven nasce dalla fusione tra Eindhoven Psych Lab, festival che per tre anni ha portato nella città olandese il meglio della psichedelia internazionale, e Fuzz Club Records, etichetta londinese che della neo-psychedelia è portabandiera. Per due giorni, il 24 e 25 agosto 2018, l’Effenaar ha fornito una rilettura, in chiave distopica e abissale, di tutto quello che è (che ha preceduto e che sarà) l’attuale scena musicale psichedelica.

In linea con le edizioni 2014, 2015 e 2016 di Psych Lab, Eindhoven diventa per un fine settimana la cattedrale del culto dello psych rock contemporaneo. Se è vero che la psichedelia, dopo la crisi degli scorsi anni, sta vivendo una nuova età dell’oro, qui al Fuzz Club si è capito perché e soprattutto dove questa stia andando.

La leadership di questo evento nel panorama europeo è netta ed incontrastata, e lo è non passando per scelte facili ma mantenendo anzi un certo piglio nella composizione della line-up. Ben 35 band spalmate su due palchi in due giorni, accompagnate dai visuals di Sam Wiehl.

Le danze si aprono alle ore 16:15. L’orario può sembrare inconsueto per un concerto, ma non in questo contesto: qualche minuto prima dell’inizio le sale sono già gremite con il pubblico che aspetta in coda fuori. La formula del festival, con grande lungimiranza, agevola chi vuole godersi i live pomeridiani. La macchina è perfettamente oliata e precisissima, ciò significa che il Fuzz Club è fatto anche di scelte. Il trait d’union nella logica dei gruppi selezionati, d’altronde, è evidente.

La psichedelia di oggi, sembrano dirci gli organizzatori, è oscura e decadente. Non c’è speranza per presente e futuro. Per questa ragione si ritorna alle sonorità di chi, per primo, ha sperimentato questo baratro: le atmosfere claustrofobiche e disperate dei Velvet Underground, gli umori cupi e introspettivi, tesi e ossessivi del post-punk e della new wave.

Fuzz Club Eindhoven è un viaggio continuo che sprofonda il pubblico dentro un immenso universo interiore. C’è la sconfitta, il senso di una fine imminente (o di un’apocalisse già compiuta) ma anche l’impeto di eroi che combattono da soli la loro battaglia contro le falsità di oggi. A fare da corona al tutto una location come quella dell’Effenaar che impressiona sempre per qualità della resa audio, organizzazione di tempi e spazi.

Una musica che mira a essere curativa, a trascendere il mondo per avvicinarsi a se stessi, come dimostrano i picchi raggiunti venerdì 24 agosto. A partire dal minimalismo mistico di Spectrum: dopo Spacemen 3 e E.A.R. (Experimental Audio Research), Peter “Sonic Boom” Kember confeziona l’ennesimo progetto che avvolge e coinvolge dal primo all’ultimo minuto. Due chitarre (una è quella di Jason Holt dei Cult of Dom Keller) e un sintetizzatore analogico producono suoni che non sembrano provenire da questo mondo. Un titanico omaggio a La Monte Young e Terry Riley, al minimalismo e alla infinite music di cui abbiamo disperatamente bisogno.

Fuzz Club Eindhoven 2018

Spectrum (foto: Lilly Creightmore)

Se il pomeriggio di venerdì ha fornito un generale appiattimento (per quantità, non per qualità) con stile accademico di derivazione Black Angels, Dead Meadow e Brian Jonestown Massacre (i vari You Said Strange, Black Lizard, Dead Rabbits e Holy Wave sono di poche parole, alquanto statici e almeno all’apparenza distaccati), la prima scossa l’hanno data i Pretty Lightning: il duo tedesco macina con furore i brani di The Rhythm of Ooze e There Are Witches in the Woods e aggiunge alla pietanza un sapore 60s garage e delta blues che mancava nell’aria. Ancora meglio va con gli Spirit Valley, la vera rivelazione di questa giornata (o dell’intero festival). Psych e post-punk vanno a braccetto nei loro dischi Give Trance a Chance e Negatives. Australiani di base ad Amsterdam, Dave Tomlinson e Chris Stabback possiedono un gran dono: far evolvere la coldwave in un corpo a corpo tribal-ritualistico. L’energia che si sprigiona sul palcoscenico viene scaraventata sui presenti e restituita sotto forma di cascata magmatica e granulosa di pressione sonora e melodia. Complice l’ottima presenza sul palco, la resa live di canzoni come Dileria Hysteria e TNNLVSSN è glaciale e letale. Una delle migliori formazioni viste dal vivo negli ultimi tempi.

La temperatura inizia a salire dalle 21 e i muri di suono si alzano possenti. Ron Gallo motiva la sua presenza in un festival del genere con uno show che rinunciando (in partenza) alle derive garage psych, arriva più vicino a Randy Newman, Beastie Boys e Cramps che a Nuggets e Rolling Stones. Ron salta e si agita, suona mostruosamente bene, scherza e saltella nella sua divisa da gelataio: è più serio e dissacrante di quanto potessimo immaginare. Come suadente e stratificato è il dream noise dei Medicine Boy: il duo sudafricano sfodera una grande capacità di coinvolgimento a dispetto di una musica che richiede concentrazione per essere apprezzata appieno. I brani del loro ultimo lavoro, Lower, si alternano a quelli del debutto Kinda Like Electricity come in un racconto sonoro in dormiveglia. Dai Birthday Party ai Bad Seeds il passo è breve, soprattutto se si passa per il blues di John Lee Hooker e i gospel allucinati degli Spiritualized.

A Place to Bury Strangers sono gli headliner del giorno e il gruppo newyorkese si fregia dell’onore travolgendo gli spettatori con un uragano sonoro senza eguali. Tra feedback, sconvolgenti giochi di luci, chitarre lanciate in aria e a terra e brevi escursioni in mezzo al pubblico, il trio guidato da Oliver Ackermann si conferma una band deflagrante e irrequieta, perennemente in equilibrio tra citazioni del passato (new wave, noise, punk, shoegaze) e sguardo sul presente. La Room One dell’Effenaar è stipata di fan affezionati che non sono rimasti delusi da tanto furore. Come accade nella Room Two poco dopo per The Cosmic Dead: un’unica, infinita jam (in realtà “appena” 45 minuti) space heavy psych, durante la quale Omar e Russel sono stati accompagnati dagli amici Nik Rayne (The Myrrors) e Tony Lathouwers (Radar Men From the Moon). Il risultato è stata una sessione spaventosa e disturbante, rumorista e acida, un trip da psiconauti spinti da Hawkwind e Can.

È notte e per chiudere il cerchio non poteva che esserci una colata di psych rock, post-punk ed elettronica. I primi a garantirla sono i sorprendenti NONN: il trio svedese guidato da Christian Eldefors (Orange Revival), già convincente su disco con il debutto omonimo, sforna una prestazione maiuscola. Nonostante il look da ragazzi irrequieti che stanno per combinarne una delle loro, il synth minimale che accompagna basso pulsante, chitarre stridenti e una drum-machine martellante rende il loro suono sghembo, caloroso e ostinatamente affascinante. A differenza di quanto proposto dai più classici Desert Mountain Tribe, che con il contributo del nuovo album Om Parvat Mystery rapiscono i presenti a colpi di distorsioni ruggenti, riff al vetriolo e code psichedeliche da lasciare senza fiato.

Menzione speciale per i Throw Down Bones, in chiusura alla serata di venerdì. Il duo piemontese, che per l’occasione rinuncia (almeno in parte) alla carica noise psych dello studio per concentrarsi su un’esibizione kosmische electronic tutta loop e droni, è alfiere dell’ondata italiana di gruppi presenti al Fuzz Club: ben sei. Una grossa differenza rispetto a quanto capita in altri festival internazionali. Con i Throw Down Bones, infatti, funzionano alla perfezione JuJu (il set di Gioele Valenti e compagni è una implacabile macchina da danza, in bilico tra hard psych, funk e afrobeat) e The Gluts (che sorpresa la band post-punk milanese: sono i penultimi in scaletta e tirano fuori una performance dark, aggressiva ed estatica, con show sferragliante del frontman Nicolò J. Campana), New Candys (il garage psichedelico dandy e zuccheroso dei quattro ragazzi veneti riceve un buon riscontro da parte dei presenti), Sonic Jesus e The Third Sound (il progetto berlinese di Hakon Aðalsteinsson è nato a Roma con Francesco D’Onofrio e ora vede Antonio D’Orazio al basso), ormai un’istituzione in casa Fuzz Club.

Fuzz Club Eindhoven 2018

JuJu (foto: Willem Wouterse)

Sabato 25 agosto la palma di miglior concerto di giornata va agli GNOD. Bisogna subito ammettere che si fa fatica a sentirli. Due sintetizzatori, una chitarra e un sassofono: l’inizio è traumatico. I suoni sono così estremi e dissonanti che salgono su per il naso, prendono alla gola, fanno rimbalzare gli organi e raggiungono i capelli. Un pandemonium ipnotico e lacerante quasi insostenibile all’ascolto. L’incarnazione scelta dal collettivo di Manchester per questa sessione crea uno stato di tensione così profondo da mettere alla prova il pubblico. Ma una volta entrati nel loro universo così trascendente eppure concreto, si è rapiti dalla loro capacità di rendere il rumore un’esperienza mi(s)tica. La concezione che gli GNOD hanno dell’acid psych è guidata da una straordinaria capacità esplorativa: il loro show è un’immersione in luoghi sonori disegnati con estrema creatività, che prende la forma di una trance liquefatta, di un’allucinazione synth-oriented. Un’esibizione che segue quella dei divertenti The Limiñanas (il garage psych pop del duo francese, accompagnato da una piccola orchestra con tanto di ballerino simil-Franco Nero versione impiegato delle poste, è una sorta di viaggio in un Mediterraneo colorato e decadente) e precede di qualche minuto quella degli headliner della serata.

I Black Angels sono una garanzia: sono ciò da cui tutto è (ri)cominciato e dove tutto (ri)torna. Le loro atmosfere texane, sinistre e polverose, si fondono con un’intelligenza pop che pochi altri possiedono. Le melodie funeree si sovrappongono a feedback e delay stranianti, con esplosioni chitarristiche che turbano e ammaliano. Quando riverbera la magnifica Currency o il giro micidiale di Young Men Dead non ce n’è per nessuno e la band di Austin si conferma pioniere della scena rock’n’roll in chiave psych degli ultimi anni. Non c’è spazio per rifiatare perché a seguire, nella Room Two, arrivano gli Helicon, altra rivelazione del festival. Il gruppo scozzese è un colpo al cuore: durissimi riff al limite dello stoner, psichedelia East meets West (complici gli intrecci di sitar e chitarre), fluidità da trip interstellare. Ben presto la stanchezza va a farsi benedire e braccia, gambe e sederi cominciano a fluttuare all’impazzata.

Nel frattempo, aggirando ogni rischio di monotonia, sono passati sui vari palchi i Sekel (furioso il loro approccio alla materia neo-psichedelica), i flippanti Dead Vibrations (meglio su disco che dal vivo, va detto), i meditativi e caleidoscopici The Oscillation di Demian Castellanos, i promettenti Tales of Murder and Dust (intensi e narcotici) e i lanciatissimi The Underground Youth di Craig Dyer, che del post-punk e dello shoegaze si fanno beffe alternando una delicatezza mostruosa al suono urticante delle chitarre.

La vera illuminazione era arrivata poco prima con i The Wands: un set titanico il loro, quarantacinque memorabili minuti di psichedelia vintage per combattere l’apatia e l’ansia della vita moderna. Lo show di reunion del gruppo danese, scioltosi nel 2016 e riapparso ad Eindhoven per l’occasione, trova la sua ricchezza nella capacità di ricreare un’atmosfera d’altri tempi (a base di fuzz, organo e irresistibile groove) piuttosto che un semplice modello sonoro del passato. L’ovazione a fine show (con l’inno Faces a chiudere i giochi) è il doveroso omaggio ad una formazione in strepitoso stato di grazia.

Fuzz Club Eindhoven 2018

The Wands (foto: Francois Medaerts)

La notte si avvicina e gli ultimi gruppi a concludere il festival sono di casa qui in Olanda. Nella Room One arrivano i portoghesi 10000 Russos e con loro il bad trip è garantito: niente di spiacevole, sia chiaro, ma il loro set regala 45 minuti (dall’1:15 alle 2) di psichedelia sporca e allo stesso tempo scintillante, in cui il trio dosa in egual misura sudore e rumore, dimostrando di essere una macchina da guerra infallibile dal vivo. La chiusura è affidata, non a caso, ai Radar Men From the Moon: la formazione di Eindhoven ha fatto uscire un recente disco in collaborazione proprio con i 10000 Russos e si presenta alla prova live in perfetto stile musica cosmica da dancefloor. Un’esecuzione elettronica assoluta tra sintetizzatori ed oscillatori di frequenza che dominano la scena, a riflettere un mondo poetico e dannatamente raggiungibile grazie a continue destrutturazioni e rigenerazioni sonore. Il nuovo rock futuribile passa da qui.

Con l’aggiustamento delle date alla fine di agosto, Fuzz Club Eindhoven si è confermato uno dei posti migliori (se non semplicemente il migliore) dove finire per coniugare ferie, musica e divertimento. Specie per chi arriva dall’Italia, non esattamente la patria della musica dal vivo (almeno dal punto di vista delle infrastrutture): l’esperienza di un festival del genere è esaltante e allo stesso tempo, a dir poco frustrante.

 

Alessandro Zoppo