Master Musicians of Bukkake
Roma – Init Club

L’estate si avvicina e per celebrare al meglio la stagione, l’Init di Roma ospita i misteriosi Master Musicians of Bukkake, collettivo mascherato che come l’Uomo Tigre per gli ascoltatori non ha pietà. Autentica folgorazione per gli amanti di psichedelia, kraut e rock sahariano, la formazione di Seattle ha stregato i cuori degli ascoltatori con la Northwest Trilogy di “Totem”, cosmica colonna sonora in tre parti che accompagna verso il lato oscuro della Nuova Era. I sette musicisti militano in Earth, Burning Witch, Grails, The Accüsed e Asva: basta leggere questa sfilza di nomi eccellenti per afferrare la qualità della proposta.

In apertura i romani Macelleria Mobile di Mezzanotte, freschi di nuova uscita con “Black Lake Confidence” (Trips und Träume). Purtroppo penalizzati dalla scelta di usare il piccolo palco esterno per l’esibizione. Peccato, perché tra il chiacchiericcio dominante i volumi sono davvero troppo bassi per apprezzarne le meraviglie. La Macelleria si sposta criminosa e spietata, la tappa ideale è piuttosto un club fumoso e sporco, non un piccolo giardino all’aperto. Il rimpianto è alto poiché la «gang di swing noir postindustriale e mortifero» capitanata da Adriano Vincenti (voce), Lorenzo Macinanti (electronics e programming) e Pierluigi Ferro (sax) ha realizzato uno dei migliori dischi italiani del 2013. Li attendiamo in giro per le prossime date ed invitiamo ad una fissa frequentazione del loro slow jazz dronico: perle come “Death of a Caddie”, “1952” e “Just You and I” meritano doverosi inchini. «Miasmi hardboiled e fantasie da cronache di periferia» sono una fotografia illuminante di Roma.

Non appena si entra all’interno dell’Init, si capisce subito come ai Master Musicians of Bukkake piaccia immensamente stordire e divertire il pubblico. Fog machine ai massimi livelli, luci fosforescenti, costumi ora minacciosi ora concilianti. Tutto diventa chiaro quando vedi un fantomatico cerimoniere con maschera da cervo e anelli luminescenti, un candelabro a tre braccia e la luce da minatore tossico che campeggia sul cappuccio del chitarrista – per inciso, è lui, Randal Dunn, a guidare l’universo del Bukkake. Folli mattacchioni che celano musicisti di altissimo profilo.

Le due batterie in sincrono creano un tappeto ritmico che rapisce immediatamente. Basso, chitarre, synth, percussioni e ipnotici vocalizzi dall’aldilà fanno il resto. Reduci dalle fatiche dell’ultimo disco, l’eccellente, cinematico e dopatissimo “Far West”, questi tuareg all’acido lisergico passano con incredibile abilità da invocazioni esoteriche (“White Mountain Return” è popolata da synth siderali che donano un incedere dalle dinamiche spaventose) a maestose folate armoniche (“Gnomi” è un gioiello di scrittura ed esecuzione, “Failed Future” un inno alla distruzione della speranza prima della creazione di facili illusioni). “People of the Drifting Houses” è una purificazione da vivere in totale libertà, tra Medio ed Estremo Oriente. In fondo, Est o Ovest, Nord o Sud, l’apertura di percezione che il rock psichedelico imprime va oltre ogni latitudine. Sono proprio questi i casi in cui «tutte le cose appaiono come realmente sono: infinite».

Dopo circa un’ora di intense emozioni, gran finale con i Mombu sul palco, ovvero il sax baritono (e mefistofelico) di Luca T. Mai (Zu) e le percussioni (primitive) di Antonio Zitarrelli (Neo). Nel primo brano, siamo trascinati in un’improvvisazione tribal free form, qualcosa a metà strada tra grasse correnti da rituale voodoo e anarchica jam al potere; nel secondo bis, la resistenza fisica viene messa a durissima prova. Soltanto i più coraggiosi riescono a dominare il sassofono assassino di Luca T. Mai e le intricate ritmiche dei MMOB. Quando poi arriva la sterzata, un riff doom a dir poco catacombale piega le nostre resistenze e viene portato in circolare unità per buoni 10 o 15 minuti, che sembrano un’infinità. Solo allora il rituale può dirsi concluso: siamo finalmente fertili per i concerti a venire.

Alessandro Zoppo