AA.VV. – Wild Sound from the Past Dimension

Operazione interessante quella messa in atto dalla Go Down Records insieme al Circolo Fantasma e all’Atomic Studio: confrontare le stelle dell’underground italiano con i pezzi dei numi ispiratori Sixties e Seventies, nella compilation Wild Sound from the Past Dimension. Ed è proprio un sound selvaggio quello sprigionato dalle punte di diamante The Intellectuals, Gorilla, Pater Nembrot, The Small Jackets, Ray Daytona and Googobombos e Dome la Muerte, eccitati nell’esprimersi con registri surf, psych, garage, funk and hard, ossia tutta la gamma di sfumature dell’espressione musicale dei due decenni. Meglio ancora se il repertorio da cui attingere vede dei giganti quali Elvis, The Beatles, Stooges, Motorhead, Pink Floyd, Jimi Hendrix, Cramps, ma anche piccole e deliziose nuggets band come The Smoke, The Real Kids, The Continentals.Va subito precisato che rifare una canzone implica qualche rischio: si riesce a dire qualcosa di più degli originali? Il dubbio viene smarcato dalla genuità delle band, che non rifanno semplicemente, ma cercano di ritrovare i fili delle proprie radici guardando indietro, nelle soluzioni di padri “affini” soprattutto spiritualmente.
Esempi magistrali sono “Reverberation” dei 13th Floor Elevators modulata dai Pater Nembrot nella visione più acida e perforante che si possa immaginare; una “Limb from Limb” tanto motorheadiana da rilanciare i Gorilla non solo come stoner band tout court, ma veri rockers ad ampio raggio; Enri che non ha nulla da invidiare al maestro Brian Auger in “Black Cat”, divertente e divertita nel mischiare le due versioni di testo, italiano ed inglese. Belle sono anche le interpretazioni di Electric 69 che rifanno una “Search and Destroy” come la potrebbero suonare i Turbonegro e “Can Your Pussy do the Dog?” che vede la bella Vale e i suoi The Valentines rincarare il tasso di erotismo già ad alto dosaggio nella versione originale a cura di Lux Interior.
Altre volte il brano non è messo perfettamente a fuoco come nel caso di “Stone Free” e “Suffragette City” che sembrano rifatte a compitino e non riescono a vibrare come le originali. Peccato. Ma questo nulla toglie alla godibilità di un disco come “Wild Sound”, miscelato perfettamente tra i gusti degli stoner addicts e i caveman, che potrebbero trovare un piccolo/grande percorso nello scoprire psychedelic lollypops che rompono le barriere di genere, di appartenenza e di spazio/tempo: good stuff for good people!

Eugenio Di Giacomantonio