ARTIMUS PYLEDRIVER – Artimus Pyledriver

Rozzi, bruti, scatenati ma dal cuore d’oro, sempre pronti a far baldoria con un po’ di sana musica e una boccia di whisky. Così immaginiamo gli Artimus Pyledriver, cinque rawkers assatanati che bruciano da diversi anni palchi e bottiglie su e giù per gli Stati Uniti. “Southern fried rock” è stato l’ep d’esordio, uscito nel 2002. Passano tre anni ed ecco il loro full lenght, prodotto dalla band in compagnia di Matt Washburn e Dave Angstrom (Supafuzz, Hermano) ed edito dalla sempre attenta Buzzvile Records.Lo stile degli Artimus è grezzo e primordiale, è la naturale eruzione del sud degli States, un suono corposo, marcio e lento, micidiale se assunto senza precauzioni (leggi un bel bottiglione di Jack Daniels da trangugiare in tutta tranquillità). Le radici vanno trovate tanto nei mostri sacri dei ’70 (AC/DC, Mountain e Lynyrd Skynyrd su tutti) quanto nel rock’n’roll abrasivo di Nashville Pussy e Bad Wizard o negli influssi southern stoner di Alabama Thunderpussy, Halfway To Gone, Drunk Horse e Karma To Burn. Sono soprattutto le due chitarre a tratteggiare parabole infuocate a base di riff grassi e sudati, sostenuti ottimamente dalle ritmiche, esagitate a dovere, sulle quali poggia l’ugola abrasiva del singer Dave Slocum, ruvida più della carta vetrata, ovvia conseguenza delle alte quantità di bourbon ingerite…
Ascoltando pezzi come “Swamp devil” e “Ride on” sembra proprio di vivere la dimensione sporca e fumosa di un saloon di Atlanta, tra una bonaria scazzottata e tanto sano divertimento. L’unico difetto di questo disco può essere riscontrato nell’eccessiva compattezza della proposta, che rende alcuni brani un po’ troppo simili tra loro ed appiattisce il livello compositivo generale. Ma se siete amanti di tali sonorità dopo vari passaggi nel vostro lettore questa sensazione sarà sostituita da un piacevole scuotimento ormonale. È infatti impossibile resistere a mazzate del calibro di “Dixie fight song” o “Get some”, punti d’incontro tra southern, blues e rawk’n’roll. Come è difficile star fermi quando dopo averci accarezzato con una languida slide, “High life” ci trascina in un inferno orgiastico e godereccio.
Gli Artimus Pyledriver sono dei diavoli saliti in terra sotto forma di beoni. Ma con gli strumenti in mano cazzo se ci sanno fare! Dal vivo immaginiamo che l’inferno si materializzerà davanti agli occhi degli spettatori, ma non ci saranno fuoco e fiamme. Solo copiosi fiumi di birra!

Alessandro Zoppo