ASTROSONIQ – Son of A.P. lady

Con l’exploit di “Sound Grenade” abbiamo dovuto fare i conti con una nuova realtà devastante che ci riconciliava con la terra arancione; in effetti riascoltato alla distanza, l’ultimo Astrosoniq guadagna ulteriori punti, e proprio il suo carattere eclettico che riesce a comprendere sia personale space rock che altri connotati musicali (ma senza ricorrere a scappatoie), può far prevedere un futuro molto roseo in vista delle prossime releases.
Facciamo obbligatoriamente un passo indietro con l’album d’esordio, uscito un po’ in sordina, anche se i più attenti ascoltatori dello stoner rock avevano già messo le mani su questa bella rivelazione, autrice di brani trascinanti e di altri più strutturati e fantasiosi.

“Fistkick” è un esempio di come per comporre un brano stoner ad alta tensione non si debba per forza emulare i Kyuss o i Monster Magnet, o mostrare le chiappe al cesso con Turbonegro e Toilet Boys: potenti riff epilettici e a spirale, sovrastati da parti vocali melodiche irresistibili di puro stampo hard rock underground, il tutto unito a break lisergici immediati, e il gioco è fatto…

Orrorifica e strisciante, che lascia lo spazio a divagazioni prog-space di valore memori di “Carnival Bizarre”, è invece “Aterlife Rulers”, come se i primi Marilyn Manson di “Portrait…” avessero pensato a progredire musicalmente, piuttosto che ad un’estetica di discutibile gusto.

“Godly Pace” e “Doomrider” sono degli infusi tirati e bollenti di rock’n’roll, stoner e metal, ricchi di feeling e energia, mentre “Eartquake” ci ricorda che le radici risiedono in gruppi come Grand Funk, Corrosion Of Conformity e Sweet, anche se ovviamente i nostri si lasciano prendere la mano e si abbandonano alla jam rumorista alla maniera di Altamont e Clutch.

In “Pegasus” si fa largo l’aspetto dadaista degli Astrosoniq, un bizzarro e affascinante ibrido tra psichedelia freak e wave-rock, ma torniamo subito allo stoner di matrice hard/blues/psych con l’eccellente, terremotante “Ego Booster”.

I tredici minuti che chiudono questo grande album sono condensati nell’epocale “You Lose”, che inizia scheletrica e fumosa per deflagrare in un doom psichedelico vicino a Down e Acid Bath, in una maledetta volta stellata, tanto che rimaniamo avvolti da un astio atavico e inesorabile; partono poi le splendide divagazioni solipsistiche ricche di cromatismi notturni, grazie alle quali si plana nelle sconfinate lande caleidoscopiche di We, Celestial Season e 35007.

Fatevi un regalo, acquistate gli album degli Astrosoniq.

Roberto Mattei