Atomic Workers – Embryonic Suicide

Terminata l’esperienza coi seminali That’s All Folks! (splendido gruppo barese che ha contribuito a scardinare i pregiudizi heavy-psych nel nostro Paese), il bassista Michele Rossiello si è trasferito a Londra dove ha proseguito il suo iter artistico componendo una montagna di materiale, collaborando con musicisti del calibro di Laurence O’Toole (cantante/chitarrista e polistrumentista degli Hypnosis) e Gary Ramon (già chitarra nei Sundial), oltre agli incorruttibili Angelo Pantaleo (batterista all’opera con Al Darawish, X-Darwish, Skizo e Dictators) e Daniele Sindaco (chitarra negli Shear, e batterista nei fantastici Subwoofer Testing Days).

Con una formazione di questo calibro nascono gli Atomic Workers, formazione totalmente dedita all’acid rock e alla space-psichedelia, che completa le registrazioni ad inizio del 2004 del primo “Embryonic Suicide”, spettacolare avventura trippy-psych che dopo un paio di anni viene ristampata in coproduzione tra Acme e Nasoni.

L’attacco della title-track è già rassicurante: rock acido e fantasioso con un grande lavoro chitarristico, cantato con trasporto da O’Toole, un brano sincopato ma coinvolgente, che rimanda in parte agli anni di “Soma…Third Way To Zion”. Strepitosa la seconda traccia, “No Reaction”, space rock durissimo che ingloba Spaceman 3, Stooges, Alpha Stone e Sundial… ma soprattutto Atomic Workers! Dopo oltre 4 minuti di incessante show fuzzy, ci si immerge in un caleidoscopico rallentamento, per riprendere con una coda durissima.

“White” è una lezione di morbido rock siderale che rimanda ai Bevis Frond, i Floyd più estraniati, e a tratti Jefferson Airplane e Dead Meadow, un’autentica “culla del cosmo” insomma, da inserire in antologie specializzate; “Plastic” conclude la prima parte dello showcase vocale di O’Toole, che interpreta al meglio un hard psych nobile, dalla corposa struttura Sixties.

La cover di Donovan “Hurdy Gurdy” (resa decisamente psichedelica, se mai ce ne fosse stato il dubbio) è affidata all’ugola spiritata di Gary Ramon, ed è trattata con schizoidi intrecci chitarristici che arricchiscono le linee melodiche folk. Altri duri brani space-prog sono “Down On Earth” dove mellotron, synth e le vocals di Rossiello cercano di placare la tempesta chitarristica e “Far Way (Lacrimae)”, che coniuga acid rock, kraut e shoegaze in un onirico viaggio psicologico. L’esplorazione delle pareti cerebrali ha il suo grand finale in “Breakfast on the Ocean (part1)”, sorta di suite free form tra lancinanti, formidabili chitarre dopate, ossessioni ritmiche pulsanti/tribali alla Amon Duul e break progressivi affini ai King Crimson.

Roberto Mattei