Atomic Workers – Wall of Water Behind Me

Il secondo capitolo degli Atomic Workers viene rilasciato stavolta direttamente su berlinese Nasoni e vede la dipartita di O’Toole, ma inattaccabile rimane il nucleo Rossiello/Sindaco/Pantaleo/Ramon, a cui si aggiungono i guest Guy McKnight (voce, Eighties MatchboxB-Line Disaster), Julie Wood (violino, Current 93), Fabio Mongelli (voce, organo, chitarre, farfisa) e Hay Yahya Ashraf (voce). Le ritmiche sono registrate a Bari al Tom Tom Studio, mentre lo stesso Gary Ramon completa il lavoro al Third Eye Studio di Hastings, incidendo personalmente le parti di sitar.

È un lavoro più introverso e sofferto del precedente, composto in gran parte da Rossiello, che accentua le componenti prog, stoner e kraut, presenti come sfaccettature in “Embryonic Suicide”, e che preferisce percorrere uno scabro sentiero immaginario, in una sorta di viaggio argonautico improntato sulla critica al modernismo e alla costante ricerca dell’apologia spirituale. Un disco essenziale, tra i migliori usciti negli ultimi anni all’interno del nuovo rock acido, teso e chiaroscurale.

L’inizio è ostico quanto affascinante: dapprima il muriatico distillato di “Through the Channel” (un flippato stoner rock), che pone direttamente l’ascoltatore al confronto con riff coriacei, variazioni ritmiche schizofreniche e chorus in lontananza, poi “I Must Confess”, hard blues stralunato che potrebbe ricordare i Groundhogs eseguiti con piglio punkoide, e interpretato con diversi registri vocali da McKnight. Le acque si placano momentaneamente nella stupenda melodia space-folk di “Girl in the Tower”, intonata da vocals femminili che fanno riemergere antichi rituali memori degli Stone Angel, e distesa nella seconda parte in un iterativo e ipnotico desert/kraut rock. L’incubo torna a farsi tangibile nella robotica “Scientist Mantra”, arricchita da partiture noisy e lunghe divagazioni solipsistiche.

La seconda parte dell’album ha inizio da “Unpredictable”, una spigolosa iconoclastia stoner rock, con rimandi all’hard fuzz dei ’70, seguita dalla trasognante vetta progressive di “Waterfall” in cui vengono impastati King Crimson, Comus, Amon Duul e Moody Blues (riletti con creatività e personalità), poi da “Six Afternoon”, immersa in fumosi mantra melodici, che scaturiscono da sitar, chitarre, effetti, e marziali linee di basso.

Roberto Mattei