AUDIOSLAVE – Audioslave

Non per fare l’equilibrista, ma probabilmente hanno ragione tutti; quelli che salutano gli Audioslave come una bella realtà del rock contemporaneo e quelli che invece li maledicono, rimpiangendo i Rage Against The Machine che non ci sono più.
Il fatto è che i RATM non sono stati uccisi da questo nuovo progetto; erano già morti, per quel filo di complicità e stimoli che tiene unito le bands e a un certo punto si spezza, e per i tempi che cambiano – non è più il 1992, era lontana già da tempo l’emozionante sincerità di quel disco che fin dalla copertina si annunciava come incendiario e diverso.

Quanto agli Audioslave, non ci provano neanche a suonare «nuovi», a recuperare qualcosa di quella tempestosa innocenza. Partono invece dai loro trent’anni, da un heavy rock moderno che si accomoda in forme classiche; molto Led Zeppelin, un po’ di grunge, il passo minaccioso della sezione ritmica che scuote il terreno per i voli fantastici della chitarra di Tom Morello. Chris Cornell è un grande cantante e sembra lui a portare il gruppo dove va; viene facile dire che questo disco comincia là dove i Soundgarden avevano finito, anche se a essere sinceri non si spinge molto più in là.

Molti inni rock da «martello degli dei», da verificare in scena, come Exploder, Bring ‘Em Back Alive e quella Cochise che è il quasi inevitabile singolo di lancio, con i suoi facili e suggestivi richiami all’idea di un antico e coraggioso guerriero delle praterie; e qualche brano più intimo, riflessivo a sciogliere come da manuale la tensione – I Am The Highway, The Last Remaining Light.

Previsioni del tempo: grandi vendite, critica perplessa. Poi, un giorno o l’altro, Zack De La Rocha riuscirà finalmente a comporre il puzzle del suo disco «solo», e allora si faranno i paragoni. Paragoni che dovranno sicuramente essere messi alla prova dello stage.

Peppe Perkele