BABYLONIAN TILES – Teknicolour Aftermath

Un misto di psichedelia, progressive, dark (versione goth e influssi post punk) e folk. È questa la miscela creata da Bryna Golden (voce, keys), Tim Thayer (chitarra), Brian Schreiber (batteria) e Christian Ramsey (basso), le anime che sin dagli anni ’80 alimentano il progetto Babylonian Tiles. “Teknicolour aftermath” è il terzo disco della band americana (dopo “Basking in the sun at midnight” e “Green midnight glow”) ed è una sorta di greatest hits (uscito originariamente su Pangea Music e ora ristampato dalla Distort-O-Sound in una differente edizione) comprendente brani del passato, inediti e nuove registrazioni.Lo spettro sonoro affrontato dai quattro è senza dubbio affascinante: echi di Doors, Pink Floyd, Cure, Dead Can Dance, Iron Butterlfy e Siouxsie And The Banshees si rincorrono senza sosta, in un calderone oscuro e lisergico, specchio di differenti (e affini) istinti musicali. Le volte psichedeliche di “Electrified eyes” e “Rain people” aprono magici universi paralleli, “Boulevard” e “House of cards” avvolgono in spirali concentriche di incenso, “Each dying breath” e “Reason for grey” sono plumbee invocazioni agli spiriti della notte. Certo, non tutto funziona: a volte la tensione cala, il tono elegiaco sfiora la nenia e si rischia la noia. Ma la passione è tanta e si nota soprattutto nel caso di “Season of the witch”, cover tratta dal repertorio di Donovan ed eseguita con bravura e calore.
Il disco contiene inoltre una serie di versioni inedite di vecchi pezzi della band (“Far far away” e “Crystal gavel” sono tra i più interessanti), nonché “Going and going away”, bonus track sentita e coinvolgente, trascinata dalla voce soave e dall’organo pastoso di Bryna.

Alessandro Zoppo