BLACK SABBATH – Sabotage
Black Sabbath: il gruppo che più di tutti ha influenzato le band delle successive generazioni. Sono stati fondamentali nella nascita della maggior parte delle evoluzioni che il rock dei seventies ha subito nei decenni successivi, per non parlare dei riff di Tony Iommi; principale ispirazione ancora oggi per migliaia di chitarristi. In una parola: Leggenda.Tra il 1970 e il 1975, i Black Sabbath pubblicarono sei album che hanno rivoluzionato il rock, donando alla propria musica una forma ora opprimente, ora epica, ora sinistra; un tourbillon di emozioni e di sensazioni ben radicate però nel blues, nell’hard rock e in quell’irripetibile feeling dei seventies. Di questo periodo d’oro, purtroppo mai più eguagliato in seguito, fa parte Sabotage del 1975, album che malauguratamente segna anche il lento ma inesorabile declino della band (pur se con qualche ottimo acuto con Ronnie James Dio alla voce). Ciò che si nota in quest’album è una maggiore coesione e strutturazione dell’opera rispetto ad esempio a Paranoid o all’omonimo debutto, oltre che una maggiore dinamicità nelle soluzioni adottate. Difatti dall’apertura corale di “Hole In The Sky” (impossibile resistere) si passa allo stacco acustico di “Don’t Start (Too Late) per arrivare a “Symptom Of The Universe”, secondo il mio modesto parere il più grande pezzo scritto dal quartetto di Birmingham. “Symptom Of The Universe” è un brano epocale; da quel riff semplice quanto devastante all’incedere epico e gli stacchi pirotecnici e venati di progressive. Monumentale.
“Megalomania” ha un’atmosfera molto rarefatta: la voce riverberata, la chitarra più oscura del solito, un basso sornione e una chitarra acustica che accompagna ottimamente il tutto. Tutto questo fino a quando Iommi non sfodera uno dei suoi riff duri quanto trascinanti; il ritmo aumenta e sfocia in un assolo pirotecnico e in una performance vocale di Ozzy da incorniciare. “The Thrill Of It All” inizia con un gran pezzo strumentale, passando per un bel riff ottimamente supportato dal sempre incredibile lavoro dietro le pelli di Ward, e termina con un finale buono, seppur abbastanza spiazzante. “Supertzar” è la traccia più sperimentale dell’intero album: un riff epico e massiccio ed un imponente muro di cori, prima maschili poi femminili, che ne seguono la melodia principale creando un’atmosfera davvero maestosa. La seguente “Am I Going Insane” è un perfetto singolo radiofonico, seppur calato in una generale atmosfera acida. In seguito Ozzy spiegò che questa traccia nacque solamente per via dello stress accumulato all’epoca, periodo in cui il music business cominciava ad opprimere seriamente il gruppo (non a caso, la crisi cominciò dopo quest’album). L’album si chiude con “The Writ”, brano altalenante ma ugualmente molto incisivo.
Un album fondamentale seppur leggermente inferiore rispetto alle altre cinque pietre miliari del gruppo, certamente da rivalutare, considerata la generale diffidenza verso quest’opera, soprattutto da chi ritiene che il periodo d’oro dei Sabbath sia terminato con Sabbath Bloody Sabbath.
Daniele Salvatelli