FIVE HORSE JOHNSON – The No.6 dance
Non fatevi ingannare dai luoghi comuni, la melma verdastra delle paludi del Mississippi non è poi così orripilante come sembra. Anche io la pensavo così prima di restare invischiato nelle malsane atmosfere di The No.6 Dance da cui invece sono uscito rinvigorito e pimpante.
Questa nuova prova della band americana Five Horse Johnson arriva dopo due anni da ‘Fat Black Pussycat’ e rivela un piglio rock blues maggiore di quanto non era stato fatto nell’album precedente riuscendo a unire le vibrazioni scardinanti di Aerosmith o Led Zeppelin (Gods of Demolition e Lollipop sembrano out-takes del secondo album ) con la passione dei vecchi ZZ Top.
Niente di nuovo sotto il sole per carità ma quest’album va visto nella sola prospettiva di rock nudo e crudo senza nessuno prefisso davanti.
I FHJ non mancano occasione di provocare brividi caldi usando ogni mezzo necessario: una caldissima armonica che getta alcol su un groove infuocato come quello di Silver o che rimargina le struggenti ferite blues aperte da Hollerin’, le scorribande di hammond che arricchiscono il boogie-rock di Shine Around, in pieno spirito Lynyrd Skynyrd, e ancora le steel guitar con tanto di slide e voce grattata dall’abuso di superalcolici sono alcune delle tradizionali ma sempre efficaci frecce a disposizione di ‘The No.6 Dance’ che colpiscono duro e senza fronzoli.
Menzione speciale spetta alla space suite Odella, nella cui semplicità è racchiuso il senso di questo disco, e alla riproposizione apparentemente fuori luogo di It Ain’t Easy scritta da Ron Davies per l’album ‘Ziggy Stardust’ di Bowie.
Ora, con enorme contentezza, mi appresto a svolgere l’ingrato compito di scrostare la viscida ed appiccicosa fanghiglia che ha preso campo sullo stereo e minaccia di estendersi ovunque.
Francesco Imperato