GodWatt Redemption – The Rough Sessions

Dopo i consensi ricevuti con l’ottimo esordio “The Hard Ride of Mr. Slumber“, i GodWatt Redemption tornano in pista con “The Rough Sessions“, secondo full-length ancora una volta autoprodotto. I nove brani dell’album faranno la gioia degli stoners più drogati e dei doomsters più incalliti.

Sotto un’unica bandiera il power trio laziale riunisce le più disparate influenze: heavy psichedelia mutante ed infernale, doom rock visionario e scellerato, bagliori Seventies da sbronza in una comune hippie. Nonostante l’impianto DIY, la registrazione non ne risente. Anzi. L’unico limite è semmai una certa staticità nelle composizioni, che alla lunga ne appiattisce la potenza distruttrice.

Moris (voce, chitarra), Mauro (basso) e Andrea (batteria) sono musicisti eccellenti, pompano i volumi e se ne fregano delle mode. L’impatto è totalizzante ed è questo ciò cui la band pare puntare. Lo dimostrano brani come “The Meeting – Cult of Magic Eye” e “Hands of Zelda”, tributi viventi ai signori delle tenebre Cathedral.

“Last Fright (for the Unholy)” e “Paths of Oblivion” sono pura psichedelia oscura, liquida e groovy, mentre “Cobwebs” e “Circles” virano sullo stoner rock versione carrarmato, tra Kyuss e Black Label Society. “Three Open Doors” impone il groove al comando dell’universo; “Brainsane” è biker blues doom come hanno insegnato i Goatsnake a generazioni di tracannatori di birra; “Psychotria High” è una cavalcata strumentale che profuma di zolfo e marijuana. Insomma, dall’ascolto di questo disco se ne esce sudati e vogliosi.

Sedetevi comodi in poltrona, mettete su “The Rough Sessions” e iniziate il viaggio. Unica raccomandazione: whiskey e sigari pronti all’uso. Il Giglio di Veroli non è mai stato così marcio.

Alessandro Zoppo