ICHABOD – Let the bad times roll
Un disco prodotto da Steve Austin dei Today Is The Day a cosa vi fa pensare? Esatto, un viaggio negli inferi, in un universo oscuro e perverso, nei meandri della follia umana. Gli Ichabod sono questo e non solo: nella loro proposta (ostica e difficile, questo va detto subito) convergono metal, hardcore, rock psichedelico, noise, sludge, doom, industrial e space rock, tutti uniti nel forgiare un sound unico, rabbioso, ricco di stimolanti chiaroscuri.E’ proprio la coincidenza degli opposti ciò che rende particolare questa band proveniente da Boston: mentre l’iniziale “Inglorious” ci flagella con i suoi riff taglienti all’improvviso spuntano una chitarra acustica e una melodia sofferta a rendere l’ascolto meno tortuoso.
Lo stesso accade in “Escape the lie”, quando l’incipit dilatato e liquido lascia spazio a suoni cupi, a metà strada tra Neurosis e Melvins, senza mai perdere di vista un certo senso armonico che risulta sempre presente per tutta la durata del disco. Questa vena multiforme fa parte del background di ogni componente del gruppo, a partire dal vocalist Ken MacKay, capace di alternare vocalizzi puliti ad altri urlati, fino ad arrivare alla base ritmica (Phil MacKay alla batteria e Gred Dellaria al basso), passando per le chitarre ora uggiose ora feroci di Dave Iverson.
Atmosfere claustrofobiche e improvvisi squarci di luce, tutto vive lungo questo parallelo: un’armonica ci sorprende in “Face down riverbed blues” prima che il brano esploda in un episodio degno dei migliori Down, accelerazioni perverse e una melodia sotterranea caratterizzano “Ceramic bulldog”, ossessive trame ritmiche ci fanno trattenere il respiro durante “500 miles behind”. Se pensate che “John rocker” è stata scelta come primo singolo viene da ridere immaginando un mucchio di sbarbati che ascoltano questa colata di lava bollente mista ad assurdi drones elettronici…
Prima che cali il sipario le lunghe “World without end/Pig’s mask” e “Break her neck before she breaks your heart” regalano le ultime perle di un disco pazzesco: è soprattutto la seconda a sbalordire chi ascolta grazie a psichedelici innesti di sitar che si mescolano con la rabbia sprigionata dalla chitarra e dalle ritmiche.
Un lavoro che lascia allibiti, per qualità tecniche e doti compositive. Un trip da vivere assolutamente, magari a luci spente durante un temporale…
Alessandro Zoppo