INDIAN – From All Purity

Un pugno nello stomaco. Può essere questa l’estrema (estremissima) sintesi di “From All Purity”. Quinta release degli statunitensi Indian, band di Chicago oramai attiva da più di 10 anni. Se dopo il folgorante debutto nel 2005 con “The Unquiet Sky” sembravano aver perso smalto lungo gli album successivi, qualche miglioramento si era visto con l’entrata in formazione di Will Lindsay in “Guiltless” nel 2011, e la virata verso suoni più abrasivi e sperimentali. Ma è con “From All Purity” che i quattro raggiungono la quadratura dal cerchio. Per capirlo basta solo l’opener, “Rape”, tonnellate di feedback e rumorismo, con una batteria a dir poco marziale. Una sorta di rituale dell’orrore portato avanti per 8 minuti. “The Impetus Bleeds” non allenta la presa, la batteria martella imperterrita, e se le chitarre si aprono verso la melodia, lo screaming lancinante rompe subito l’idillio. “Directional” porta avanti il discorso con uno sludge mefitico, ossessivo, figlio della disperazione. Stessa cosa dicasi per “Rhetoric of No”, che si avvale di un incipit leggermente più dinamico. “Clarify” con i suoi 4.36 minuti di urla lancinanti e puro rumore tortura l’ascoltatore. “Disambiguation” chiude l’album: un finale gargantuesco e magniloquente, dove senza perdere un grammo di pesantezza la melodia riesce a farsi spazio dando un tono malinconico al tutto. Un album di un’opprimenza e una ferocia inaudite, gli Indian sono ritornati e lo hanno fatto in maniera devastante.

Giuseppe Aversano