LENTO – Icon

Le aspettative nei confronti di “Icon”, secondo disco dei romani Lento dopo l’eccellente debutto “Earthen”, erano molto alte. Due anni passati tra tour in Europa e reclusioni forzate in studio hanno partorito un risultato finale davvero riuscito. Complici anche le componenti esterne che rendono il lavoro un prodotto internazionale: produzione di Lorenzo Stecconi presso il Locomotore Studio di Roma (ormai garanzia di qualità); drum tracking di Matteo Spinazzè (Zu, Original Silence, Fm Einheit); mastering di James Plotkin (Khanate). I 37 minuti di “Icon” diventano così un’avventura oscura, spigolosa, labirintica, a cavallo tra postcore (se questa etichetta ha ancora un senso…), doom e ambient psichedelica.
Brani come “Limb”, la splendida “Hymen” e la contorta “Dyad” giocano su riff che prendono possesso del corpo-musica. Quando questa magia accade, ci si ritrova a rotolare immersi in una materia putrescente. Inevitabile pensare ai primi Pelican, agli Isis o ai Cult of Luna. Tuttavia i Lento hanno acquisito nel corso di questi ultimi anni una consapevolezza del proprio suono che li eleva in un universo particolare. Un mondo dominato da chitarre mastodontiche, ritmiche pulsanti e ambientazioni nere e cibernetiche.
È anche per questo che si prova ulteriore piacere nel momento in cui episodi quali “Then”, “Throne” e “Admission” rimandano ad una ambient music inquietante, vuota, misteriosa ed intensa. I frammenti quasi jazzati di “Hymn”, le impalcature progressive di “Still” e “Least”, le accelerazioni improvvise e spiazzanti (al limite del thrash) condite di svisate psych doom di “Icon” sono ulteriori indicatori di freschezza ed espressività importanti. Limando ancora qualcosa in termini di dinamicità ed immediatezza, i Lento potranno davvero essere protagonisti di un panorama musicale che sta diventando sempre più asfittico.

Alessandro Zoppo