L’Ira del Baccano – Paradox Hourglass

Il paradosso prodotto da L’Ira del Baccano è quello di portare indietro la clessidra del tempo. Perfettamente strumentali, hanno l’appeal di quelle band che a cavallo tra i Sessanta e i Settanta esploravano l’universo musicale nelle forme più sincere e genuine.

Due chitarre, basso, synth e batteria per creare mondi magnifici. Attivi nell’underground musicale della capitale dal 2006, con “Paradox Hourglass” sono alla terza uscita dopo “Si Non Sedes iS.​.​.​Live”  (un  live di 56 minuti registrato in presa diretta nel 2008) e “Terra 42” del 2014. Ma con questo ultimo album sembra che i quattro abbiano voluto completare e confermare in sintesi l’esperienza e la sensibilità acquisita fino ad oggi.

Si parte con la suite della title-track di venti minuti, divisa in due parti: “L’Ira del Baccano”, dove un riff alla Wino va a frammentare galassie synth e inframmezzi dolci e delicati come solo Jerry Garcia sapeva fare; il seguito di “No Razor for Occam” è più duro anche se risulta coerente con i passaggi precedenti. “Abilene” riporta in primo piano i riff, in questo caso più sabbatthiani e pesanti, ma sempre raffinati ed eleganti, come nella scelta di improvvise accelerazioni e cambi di tempo, prima di staccare i distorsori e diventare quasi desert song, anche se non è facile segnalare tutte le idee che i nostri mettono dentro un solo minuto di musica (come nel finale, dove rischiano di diventare dei Ronin della musica psichedelica pesante).

L’ultima “The Blind Phoenix Rises” piazza quasi a sorpresa un colpo cosmic doom come degli Electric Wizard di “Supercoven” o meglio i Sons of Otis (band canadese che univa granitici riff iommiani a space synth sporchi e cattivi), ma è solo l’inizio: poi viene messa tanta altra massa al fuoco che la vampa è impressionante. Questo è il paradosso dell’Ira del Baccano: suonare tremendamente retrò e tremendamente affascinanti.

L'Ira del Baccano - Paradox Hourglass

L’Ira del Baccano

 

Eugenio Di Giacomantonio