MACROCOSMICA – Farewell to earth

Curioso ibrido di stili ed umori quello dei Macrocosmica, band scozzese che ci aveva già sorpresi con il positivo “Art of the black earth”. La natura eclettica del gruppo è evidente a partire dalle passate esperienze dei membri della band: Brendan O’Hare (chitarra, voce) è un ex Mogwai, Telstar Ponies e Teenage Fanclub, mentre Keith Beacom (batteria) e Gordon Brady (chitarra, voce) hanno militato nei grandissimi Bangtwister (se non conoscete “The moon on a stick” rimediate immediatamente). La formazione è completata da Cerwyss O’Hare (basso e voce) e con questo secondo disco bissa i consensi ottenuti con l’esordio di due anni fa.Rock a 360 gradi, che si frammenta e ricompone come in un rapido montaggio, trovando la sua logica nel fluire indistinto di note aspre, calde, contorte. In “Farewell to earth” c’è un po’ di tutto, c’è l’indie rock di matrice statunitense, c’è la costruzione complessa dell’art rock britannico, c’è l’heavy psych che fa ribollire il sangue nelle vene, c’è il post rock con la sua mania cerebrale, c’è una componente noise che scuote e sorprende. A tratti si paga dazio in coesione, la complessità esecutiva è materia bollente. Ma ai Macrocosmica il gioco riesce eccome, basta ascoltare l’iniziale “Crater style”, emblema del loro suono articolato e multiforme, lo-fi ma dannatamente heavy. Se infatti “Reject amplified” sembra uscire da un disco degli Shellac (o, perché no, da uno dei One Dimensional Man…), la successiva “The casket” ammalia con il suo manto acustico e le sue progressioni emo psichedeliche. Mentre “Live death” e “Torch number one” (costellata dalle sinuose vocals di Cerwyss) rendono spessi e corposi i riff, andando a pescare dall’universo heavy psych che i Bangtwister hanno abbandonato.
“Wound” e “Otto” tornano a pestar duro sul tasto del rumorismo, sempre con somma grazia e senza mai esagerare. Così come fa la conclusiva “Five wrongs” quando si tratta di chiudere i conti: otto minuti di splendente psichedelia, di quella condotta da wah-wah aggressivi, atmosfere dilatate e vocalizzi cosmici. Giusto atto finale di una band che è tra le poche a proporre qualcosa di intrigante ed originale nel panorama odierno. Per la serie, quando la parola crossover ha ancora un senso…

Alessandro Zoppo