My Dying Bride – The Ghost of Orion

Cinque anni sono un periodo piuttosto lungo per i My Dying Bride, una band che da sempre ci ha abituato ad una release ogni due, tre anni al massimo. Cinque anni è il periodo che separa il precedente Feel the Misery dal nuovo The Ghost of Orion, grazie al quale ritroviamo una band a livelli altissimi.

Il chitarrista Calvin Robertshaw lascia la band poco prima delle registrazioni per cui l’album viene composto quasi interamente da Andrew Craighan; sorte simile toccò a Feel the Misery con l’abbandono di Hamish Glencross. Andrew ha quindi carta bianca e si conferma un compositore eccellente. Anche il batterista Shaun Taylor-Steels abbandona la nave prima di entrare in studio, ma fortunatamente il produttore Mark Mynett ha pronto un asso nella manica: Jeff Singer (ex-Paradise Lost) aveva il suo kit di batteria parcheggiato ai Mynetaur Productions, impara i brani in appena due settimane ed entra in studio, registra ogni parte ed entra in pianta stabile nella line-up.

The Ghost of Orion non è un disco qualsiasi, ci sentiamo più che mai vicini alle parole di Aaron Stainthorpe, dopo aver vinto la battaglia contro il cancro della propria figlia. Strascichi di questa esperienza affiorano nella struggente Tired of Tears, che mostra l’anima più accessibile dal punto di vista musicale mantenendo la malinconia di fondo, la melodia del violino e delle chitarre offrono una solida base ad una voce da brividi.

Menzione speciale per il lavoro svolto sulle voci pulite, disposte su più livelli, armonizzate tra loro al fine di donare una maggiore profondità al tutto. Nel caso di To Outlive the Gods, le melodie vocali giocano ancora una volta un ruolo cruciale, tra le tracce che rappresentano al meglio questo album, e non a caso scelto come secondo videoclip.

Più centellinate invece le parti in growl, che fanno capolino in punti chiave di brani come Your Broken Shore, The Long Black Land e The Old Earth, senza mai rappresentarne l’elemento portante, ma irrompendo con una rabbia dirompente nel momento opportuno, accentuando la drammaticità dei singoli brani.

Gli ultimi due brani citati sono intervallati dalla titletrack, che aiuta a far prendere il fiato tra le tracce più lunghe del disco (di 10 minuti ciascuna), grazie a 3 minuti di chitarre arpeggiate e voci sussurrate. Altra arma vincente di The Ghost of Orion sono le collaborazioni di due ospiti femminili di livello assoluto: Lindy-Fay Hella (voce dei Wardruna) e di Jo Quail, compositrice e violoncellista inglese di fama internazionale.

The Solace è un insolito duetto tra la chitarra riverberata di Andrew e la voce ultraterrena di Lindy-Fay, in un ideale connubio tra il folklore norvegese e quello dello Yorkshire. Lo spazio dedicato agli ospiti è sacro, Lindy-Fay e Jo si intrecciano un’ultima volta in Your Woven Shore, di nuovo senza batteria e con l’assenza totale di strumenti elettrici, chiudendo in maniera insolita un disco che rasenta la perfezione.

Davide Straccione