OAK’S MARY – Car Wash

Preceduto da un promo ep di quattro pezzi, arriva finalmente “Car wash”, secondo capitolo della saga Oak’s Mary dopo il debutto “Tamarindo” edito nel 2004. L’avventura della band piacentina procede di pari passo con quella della Desert Fox Records, intraprendente indie label che si sta facendo strada nel difficile mondo del music business italiano. Volontà e forza sono anche le caratteristiche degli Oak’s Mary, espresse in un lavoro fresco e compatto, che ci accompagnerà nelle bollenti giornate estive.
Artwork e produzione sono ottimi, così come la scrittura e l’esecuzione dei brani. Non manca nulla ai quattro (Mark Purple – batteria, voce -, Mark White – basso, voce -, Pedar – voce, chitarre -, Cavitos – chitarre, voce -) per fare breccia nei cuori di chi ama il rock più crudo, melodico e selvaggio. Parti ben dosate di hard, rock’n’roll, stoner e desert sound si fondono per creare una miscela suadente, calda, sexy e dannatamente cool. Ci coinvolgono e ci turbano gli Oak’s Mary, come una bella ragazza che si spoglia davanti ai nostri occhi (sarà forse la “Spanish girl” invocata dalla band?) o una bottiglia di birra ghiacciata che ci aspetta quando fuori ci sono 40 gradi. In casi del genere non si può far altro che correre forte e veloci (“Cavalli’s square”, “Love inside”). Al limite ci si sdraia in amaca con un torrido e malandato blues (“Just bifore you died”) o si scappa con la mente lungo sentieri desertici e polverosi, lungo i quali le visioni di Brant Bjork (“America”) e dei Queens Of The Stone Age (“Top of the world”, “You got it”) iniziano a prendere forma.

Se sentite qualche goccia di pioggia nessun problema, “Seattle sunshine” vi farà da ombrello, con quella sua isteria targata Mudhoney a bilanciare armonie mai sopite e piglio punk. Tutto questo sono gli Oak’s Mary: tosti e al tempo stesso gentili, solari e incazzati, travolgenti e malinconici. La chiusura affidata a “Rock me” è il loro manifesto. Un rock fottuto, vintage e graffiante.

Alessandro Zoppo