Old Mexico – Old Mexico

La storia degli Old Mexico e di questo disco, edito da Cardinal Fuzz, è davvero curiosa. Tutto nasce dalla volontà di Jason Simon, voce e chitarra dei Dead Meadow. Invitato a San Francisco per prendere parte al Family Folk Explosion (una sorta di mega concerto à la The Last Waltz organizzato da Trans Van Santos, ovvero Mark Matos), Simon porta in dote i suoi outtake rimasti fuori da Familiar Haunts, secondo album solista uscito dopo Old Testament.

Jason suona questi brani con Trans Van Santos e Dave Mihaly alla batteria, noto soprattutto per il suo lavoro prima con Jolie Holland poi con The Shimmering Leaves Ensemble. Il tocco free jazz dei suoi compagni lo intriga e non fa altro che pensare a questi arrangiamenti quando torna a casa a Los Angeles.

Il viaggio in auto da Frisco è tutto un rimuginare su quell’alchimia che ha reso un pezzo come Past the Western Wall un’esperienza unica, dilatata fino a 14 minuti, tra improvvisazioni jazz e la sua ricerca sulla musica tradizionale indiana, una rivoluzione poetica tutta da esplorare.

Simon e Matos sono ormai grandi amici (tanto che i Dead Meadow avranno Trans Van Santos in apertura alle loro recenti date europee) e Jason riflette continuamente sulla proposta che Mark gli ha fatto: raggiungerlo a Joshua Tree per le sessioni di registrazione di TVS2.

Passa un mese e Simon accetta l’invito. Si presenta agli HI Dez Recordings di Joshua Tree e suona la chitarra nei dieci brani di TVS2. Nelle settimane precedenti, però, ha letteralmente consumato i dischi di Dave Mihaly e gli viene naturale fare una contro-proposta a Matos: re-incidere i suoi brani solisti in trio.

Il risultato è Old Mexico, un album registrato tra San Francisco e Los Angeles, nel profondo della California, al quale contribuiscono amici musicisti dei rispettivi progetti solisti. Il tutto registrato live, con pochissime sovraincisioni. Così vengono fuori quella versione magica di Past the Western Wall, il folk struggente di Steller Jay, la psichedelia ammaliante di Black Matador con quel sassofono (di Michael Bello) e quella voce (di Annie Lipetz) che ti penetrano sotto pelle.

The Old Ones sembra uscire dritta da Feathers, con le atmosfere rarefatte impiastrate di spirit jazz, mentre Neon Tree è un desert folk gioioso e danzereccio. L’avventura si chiude con la strumentale Madeline Kahn, che suona come un malinconico congedo, di una nostalgia insinuante, come il rimpianto per qualcosa di unico che non si ripeterà. Noi ci auguriamo non sia così. Anzi, speriamo questo respiro possa vivere ancora, magari proprio nei Dead Meadow.

 

Alessandro Zoppo