ORANGE GOBLIN – Thieving by the grace of god

Gli Orange Goblin sono stati davvero fondamentali nel rigenerare il nostro genere musicale, e paradossalmente sono partiti proprio dal punto più lontano, anticipando gli scienziati della Nasa captando le frequenze di Sedna (ma si chiamerà veramente così il decimo pianeta, o verrà ridotto “solo” ad un grosso asteroide?) nel 1997, e proseguendo con una serie di album che hanno sempre fatto la loro ottima figura.
La musica dei Goblin si può riassumere come uno stoner/hard psych dalla spessa corteccia abrasiva che condensa tutte le maggiori influenze degli ultimi anni (doom, hard rock, blues, metal, sludge, southern, psichedelia) in un eccitante organismo musicale, stavolta di particolare durezza.

E’ chiaro che per rendere in un’operazione del genere bisogna essere piuttosto ispirati, pena un decorso derivativo e noioso, ma non è il pericolo che si corre con “Thieiving By The Grace Of God”, un album che (come l’ultimo Monster Magnet) decolla alla distanza, e si rischia davvero di rimanere mortalmente ustionati dall’ingombrante astronave preistorica pilotata stavolta dal solo, rocciosissimo (ma valido) Joe Haore, un chitarrista che va rivalutato anche quando non ricalca per forza le gesta di Iommi, Gilmour o Leslie West.

La produzione di Billy Anderson rende il loro quinto album un’irrefrenabile macchina bellica, e c’è da dire che è più calibrata rispetto a quella di “The Big Black”, soprattutto perché il livore sonoro non collassa su se stesso, riuscendo piuttosto ad emanare un senso di cruda compiutezza.

I reattori vengono accesi con l’ipnotica “Some You Win, Some You Lose”, uno stoner rock possente e fluttuante, che invece di esplodere in facili break si affida alle collaudate strategie hard del gruppo: chitarre taglienti e dense di feeling, solido tappeto ritmico e la consueta voce roca da bluesman in acido di Ward.

Lo stesso discorso vale per “One Room, One Axe, One Outcome”, “If It ain’t Broke, Break It”, “Hard Luck” e la caustica “You’re Not The One (Who Can save Rock n’Roll)”, brani molto densi e tirati di stoner-blues, che dal vivo devono far sfracelli.

Un ipotetico hit hard è rappresentato invece da “Black Egg” in cui il possente vocalist si alterna ad una femminile voce soul, alla maniera degli altri inglesi di ferro, gli Hangnail.

“Lazy Mary” è la figlia legittima (ma stonata) di Cactus, Mountain e Frost, e veramente riuscito è l’heavy-blues di “Just Got Paid” (brano dei ZZ Top), capace di far muovere le chiappe anche ad uno zombie, mentre pesanti come macigni, risultano “Round Up The Horses” e “Crown Of Locusts”, con quest’ultima che si avventura anche in territori sludge-doom.

Peccato che in due-tre brani manchi la stoccata vincente, per il resto gli Orange Goblin sono sempre una garanzia.

Roberto Mattei