OVERMARS – Born Again

A due anni dall’uscita dell’esordio su lunga distanza, gli Overmars danno alle stampe un’opera intrigante – dal titolo “Born again” – rilasciata dalla piccola etichetta francese Appease Me.Se “Affliction endocrine… vertigo” era una valida ma altalenante rielaborazione degli stilemi del post-hardcore (se esistono e perché esistono…), con puntate nella new wave dei Cure (i 5 episodi/intermezzi intitolati “Destroy all dreamers”), questo nuovo album assume la forma di un’unica traccia, di non immediata assimilazione (ma sia chiaro: siamo lontanissimi, per impostazione ed esecuzione, dall’estrema esasperazione di dischi “d’avanguardia” come “Delirium Cordia” dei Tomahawk o “Ov” degli Orthrelm).
Metabolizzare i 39 minuti e rotti di affronto sonoro che compongono l’ultima fatica del sestetto di Lione risulta comunque una operazione abbastanza ardua, considerata l’ossessionante lentezza che pervade e caratterizza il disco, avvicinandolo a lidi prossimi al doom.
Le componenti: sezione ritmica assestata su un incedere marziale, chitarre che si muovono tra riffs malefici, voci maschili in growl (ma in diversi momenti sembrano avvicinarsi a una versione grezza delle soluzioni “rabbiose” dei maestri Von Till e Kelly, con ascendenza prevalente di quest’ultimo) alternate a un recitato/urlato isterico femminile (in alcuni frangenti può far immaginare una versione molto edulcorata e non barocca dei vocalizzi architettati dall’insana Jarboe), oscuri e non invadenti inserti di elettronica.
Il disco merita un ascolto attento: potrebbe riservare soddisfazioni a chi brama un’esperienza sonora di lacerante attenzione e/o adora atmosfere che possono ricordare (con le inevitabili e incolmabili differenze in termini di spessore e coinvolgimento, ça va sans dire) gli Swans più misantropici e intransigenti o passaggi come la prima parte di “Enclosure in flame” dell’immenso capolavoro “Through Silver In Blood”, per quanto i riferimenti concettuali ai Neurosis siano percepibili durante l’intero disco e non riconducibili ad alcun particolare brano del seminale gruppo di Oakland.
Il testo tratta di un sofferto processo di “caduta” e trasformazione catartica definita come rinascita: da qui il titolo.
Non c’è molto da aggiungere, gli Overmars puntano a destabilizzare l’ascoltatore, a partire dagli occhi del simulacro di uomo che erompe dalla copertina.
La sommariamente descritta struttura del disco potrebbe nuocere al giudizio o essere uno sprone a continuare nel confronto con le sue coordinate stilistiche: a voi la scelta, ricordando però (se ce ne sia necessità) che accontentarsi della confortevole dicotomia nelle posizioni – rigetto o accettazione – non è sempre la strada più semplice per cercare di comprendere…

Raffaele Ameli