PANTHEIST – Amartia

Secondo album per i Pantheist, i quali accentuano, eccessivamente, il lato funereo del già desolante debutto “O’solitude”, disco che proponeva i nostri come una delle più liete sorprese in campo depressive doom. Questo nuovo “Amartia” è un macigno (oltre 76 minuti) di funereal doom lentissimo, ma il suo fascino si dissolve quasi immediatamente. Tutto (arrangiamenti, canzoni) è infatti spinto all’eccesso, a cominciare dalle porzioni sinfonico/orchestrali, veramente sfiancanti nella loro lunghezza e ripetitività. Sembra di ascoltare i My Dying Bride al rallentatore, con i pro e, soprattutto, i contro di ciò che questo comporta, tanto che se sarete arrivati al quarto brano (complimenti per la pazienza!) l’entusiasmo si farà da parte, lasciando spazio alla noia più assoluta. Gli ingredienti del genere ci sono tutti: cantato declamatorio/growl, chitarre pesantissime e/o arpeggiate, atmosfere decadenti/funeree, ma l’insieme viene spremuto all’inverosimile.L’iniziale “Apologeia” si discosta un attimo dal resto, grazie all’inserimento di interessanti porzioni dal gusto apocalittico che richiamano alla mente i grandi Void Of Silence, e comunque nei suoi 12 minuti racchiude tutto quanto (idee, sonorità, atmosfere) si ascolterà nei successivi brani, veramente troppo “lineari” nel loro scorrere. La classe non manca e “Amartia” è un disco suonato, arrangiato e prodotto in modo elegante. Ma pur da appassionati del depressive sound sconsigliamo questo “mattone”, a meno che non vi consideriate degli autolesionisti sonori.

Marco Cavallini