Prisma Circus – Reminiscences

Quello che suonano i Prisma Circus è il migliore rock in circolazione. Freak innamorati dell’assolo al fulmicotone, delle ritmiche serrate e dello stile sporco e selvaggio: avete miele per le vostre orecchie. Le reminiscenze evocate dal trio spagnolo sono quelle di una Woodstock bagnata e felice, di una jam nella Swinging London immersa nell’infatuazione blues di metà anni Sessanta e di quegli artisti che cercano nell’acido il suono meraviglioso.

Qualcosa di perfettamente integro e riconoscibile di questo mondo espressivo ha attraversato i decenni e si è consegnato a band come Orange Sunshine, Dzjenghis Khan, Blue Pills e Radio Moscow. Qualcosa che risalta per il proprio bagliore cristallino. Gente che ha preso l’originale matrice blues (d’altra parte chi nel rock non lo ha fatto?) e l’ha temperata nella più sanguigna e disgraziata prurigine dell’adolescenza. Quindi, ormoni a palla ed eccitazione costante. Stooges, Blue Cheer, MC5 sanno cosa ci hanno consegnato per sempre. E noi con loro. E così sia!

Esemplare nello spiegare bene alle nuove generazioni questi concetti è l’assolo di batteria al giro di boa di “Napalm”: un trialismo che introduce ad una progressiva accelerazione che porta a finale di stop and go con il wah-wah in fiamme a ricamare l’assolo infinito della solista in battaglia con le svisate di basso che cercano “un proprio spazio, proprio dove non ce n’è”. E, come hanno spiegato bene i Rolling Stones da “Beggars Banquet” in poi, non c’è genuinità nel rock blues se non imbracciamo la chitarra acustica (qui nella bella e rassicurante “Asylum’s Gate”). Ma questi sono intermezzi.

La vera ciccia si trova nell’opener “The Mirror” – favolosa cavalcata in odore di bad gang e propedeutica per un sequel di “Scorpio Rising” – e “Cain”, dove i riff sono talmente ossessivi che il pezzo sembra sbandare da un momento all’altro. Anche laddove il ritmo vira verso la ballad si ha la sensazione che la barbarie hard sia solo compressa e mai accantonata del tutto, come nella conclusiva “Joseph Merrick”, l’uomo elefante, dove la grigia compassione per questo mostro da circo non vuole offuscare le visioni prismatiche in technicolor, ma vuole essere puro atto d’amore. Qualcuno recitava “il circo lascia la città”. Altri rispondono: “Venite avanti siori e siore a vedere belve feroci, atleti su trapezio e la fantastica donna scimmia!”.

Eugenio Di Giacomantonio