RECS OF THE FLESH – Illusory Fields Of Unconsciousness

I Recs Of The Flesh, quartetto guidato dal chitarrista/cantante Massimo Usai, sono attivi dal 2004 e giungono dopo una serie di buoni demo ed Ep al primo full-length, “Illusory Fields Of Unconsciousness”, un concentrato di esplorazioni psichedeliche e post-dark che nascono nell’attuale scenario del rock indipendente, un calderone tornato particolarmente ribollente negli ultimi tempi. Lo sforzo profuso in sede di composizione non è affatto trascurabile, ma gran parte del merito della riuscita del progetto va alla caratura della formazione, che oltre a Massimo comprende altri tre validissimi cosmonauti dell’inconscio: la tastierista Sara Melis, capace di arricchire il suo background wave/shoegaze con nervature psych ’70 ed altre più tipicamente moderniste, il bassista consacrato all’eterno culto del feedback Justin Wood (dagli americani Small White) e il quadrato e preciso drummer catalano Xavier Dilme.I nostri realizzano un’opera sopra la media nell’ambito del nuovo oscuro trance rock, quello che riutilizza le lezioni ottantiane del noise della East Coast, gli stilemi (e il flavour) del versante goth dello shoegaze, e il duro heavy psych nato dalle ceneri dei Queens Of The Stone Age, sparse ormai un po’ ovunque e che non accennano a dissolversi, ennesima riprova dell’importanza dalla creatura di Homme nel convulso panorama dell’alt-rock da un lustro a questa parte.
Inquieto, radicale, ma orchestrato con intelligenza e trasporto, l’album è un inesorabile susseguirsi di affilati pattern dalle ritmiche battenti, capace di inoltrarsi con risultanti soddisfacenti nella psichedelia acida, e questo non trascurabile fattore ispessisce il mood decadente e noir, arrecandogli una chiave di lettura psiconautica dalla costante tensione sensoriale. L’incipit psycho-shoegaze di “Social Failure” lambisce durissimo industrial rock seppur tra disfatte armonie, e subito emergono le tastiere da incubo della Melis, col pesante basso a ricucire in continuazione; quindi segue “Burnover” basato su un riff trance rock che intelaia un’ossatura tipica del goth, in una sorta di sincopato trait d’union tra Qotsa e Fields of Nephilim. La distanza da manierato electro-rock è assicurata da “Intensive Care Unit”, uno dei capisaldi del cd: basso doomy che apre le porte ad uno stato di alienazione psicologica, ed è un pezzo che risente di Spaceman 3, il Bowie paranoide di “Space Oddity” e le fluttuzioni degli ultimi Warlocks. L’aggressione robotica di “Getting It on” e “Not Easily Impressed” bilanciano “Urban Tension Development Swing” e “Behave (On The Path Of The Psycho)”, due opalescenti fusioni di Nine Inch Nails e melodie psych.
“Reveletions From The Self” si abbandona al rock crepuscolare innestando ritmiche marziali su una progressiva sovrapposizione strumentale, e anche “Friends?” partecipa positivamente con i suoi riff di marca Refused/Prong ammorbiditi da un incedere umorale alla Sisters Of Mercy. “Solutions To Non Existing Problems” continua ad interloquire alla metà oscura, prima che si faccia strada il pezzo più ambizioso, “Never Forget”, aperta da keyboards prog che poi evaporano in alterazioni percettive generate da un’antitetica altalena di refrain eroici, arie dismesse e rumorismi barrettiani. Ben fatto.

Roberto Mattei