RWAKE – Rest

Rwake, sestetto dell’Arkansas con già tre album all’attivo, ritornano per raccontarci nuovamente che non esiste destino al di là della nevrosi. Chi ancora non ha dimestichezza con la band, sappia che siamo di fronte ad uno dei migliori esempi di come la materia sludge doom possa essere sottoposta a trattamenti post rock psichedelici al pari di gruppi quali Minsk e i sottovalutati Lesbian. “Rest”, quarto parto del gruppo, non fa che confermare la regola ed è ancora una volta opera della Relapse occuparsi di questa uscita che consta di quattro lunghissimi brani (più due brevi intermezzi) per una durata di oltre cinquanta minuti di musica. In cabina di regia l’immancabile Sanford Parker.Dopo l’introduzione “Soul of the Sky”, un bozzetto bucolico accompagnato da una soave voce femminile, ci si inoltra nella sconvolgente “It Was Beautiful But Now It’s Sour”, brano che spalanca le porte dell’inferno. All’inizio pare di sentire una versione deformata dei Pink Floyd che si appropria via via di elementi mastodoniani della prima ora. Quasi dodici minuti di un’intensità emotiva incredibile tra cambi di tempo, accelerazioni improvvise ed un cantato delirante. Il quadro non cambia con la successiva “An Invisibile Thread”, che anzi risulta il brano più raggelante dell’intera opera. Qui ci si avvicina davvero ai già citati Lesbian: la furia death core viene in parte mitigata da inusuali partiture progressive. Chissà, se i King Crimson fossero nati quarant’anni più tardi forse avrebbero suonato proprio così. Completano l’album due brani come “The Culling” e “Was Only a Dream” dove sperimentazione e violenza metal core si intersecano in un connubio vincente.
Significativo anche l’artwork che raffigura un albero spoglio sotto un sole cocente come a rappresentare il clima di desolazione, tristezza e impotenza che si respira un po’ ovunque nei solchi di questo lavoro. Rwake, ovvero sofferenza, inquietudine, sconforto, smarrimento. In una parola: esemplari.

Cristiano Roversi