Satori Junk – The Golden Draft

The Golden Dwarf, secondo full-length dei Satori Junk, è un album molto interessante. Fatto tesoro della scoperta dei suoni Sixties degli Electric Wizard in Withcult Today, i quattro ragazzi milanesi ampliano l’intuizione in direzione melodica. Come a dire heavy/space/doom ma con un cuore. Ed ovviamente con una visione della cosa del tutto personale.

Come ci spiegano i nostri, “l’idea principale della band è quella di intrappolare l’ascoltatore in un mondo rabbioso, scomodo e distorto” e ci riescono benissimo, scrivendo canzoni lunghe ed articolate che non disdegnano il tocco di fioretto (vedi alla voce All Gods Die). Un approccio già elaborato ai tempi dell’EP d’esordio Doomsday.

Milano, con le sue nebbie ed i suoi fumi (immaginiamo non solo delle fabbriche!) deve essere stata fonte di ispirazione principale, dove la realtà urbana condiziona direttamente il vissuto di Luke Von Fuzz , Chris, Lory Grinder e Max. Ne esce fuori un sound che fa del riff il segno del disagio, ma anche del riscatto e della ribellione. Molto vicini a Sons of Otis, Comacozer e Monkey 3, i Satori Junk percorrono la stessa strada dei connazionali Kayleth, Black Capricorn e Ufomammut: spazio profondo e chitarre micidiali.

Le canzoni di The Golden Dwarf risultano scorrere una dentro l’altro come una sorta di concept album, dove chiude la title track che fa del Sabbath nero il vero punto di riferimento del gruppo, prima di abbandonarsi alla cover di Light My Fire: allucinata, pesante e liquida, lunga fino a undici minuti. Satori Junk: accendete il bong.

Eugenio Di Giacomantonio