SVARTE PAN – Sov gott

Quando per i gruppi svedesi si fa riferimento al sound hard rock degli anni ’70 vengono subito in mente tutte quelle band che hanno ripreso gli stilemi dello stoner rock dal variegato universo statunitense. Considerazione esatta, se non fosse che nell’entroterra scandinavo c’è una quantità innumerevole di gruppi che fa riferimento ai magici seventies conservando però ben ferme le radici nella propria cultura d’origine. Esempio emblematico furono gli Abramis Brama, autori di un capolavoro del calibro di “Nar tystnaden lagt sig…”. Ora una nuova sorpresa ci giunge dagli Svarte Pan, quartetto che con l’esordio “Sov gott” sforna una delle perle più lucenti di heavy groovy rock nel panorama attuale. Non a caso la band aveva preso in eredità lo scettro dagli Abramis Brama condividendo con questi ultimi un favoloso split cd.
Il 2002 è stato l’anno della consacrazione ufficiale, avvenuta con il supporto dell’agguerrita etichetta Ant Nest. L’unico limite che può essere ravvisato in questo disco è l’uso dello svedese nei testi, per il resto tutto è perfetto: la carica sprigionata dai dieci brani presenti è micidiale, Black Sabbath, Led Zeppelin, Mountain, Cream e Grand Funk Railroad vengono miscelati in un cocktail esplosivo, ricamato alla perfezione in trame sottili e al tempo stesso travolgenti. Il punto di forza sono le chitarre di Conny Andersson, cariche di wah-wah e fuzz debordanti, sempre pronte a lanciarsi in assoli pungenti e mai banali. Altro elemento fondamentale è la voce di Bjorn Holmdèn, robusta, coinvolgente ed evocativa quanto vasta per tratteggiare scenari dal sapore sia oscuro che delicato. Ma non va dimenticato l’apporto essenziale della sezione ritmica (Pelle Engvall alla batteria e Christian de Luxe al basso), sempre precisa e possente.

La bravura degli Svarte Pan sta nel saper variare registro e dimensione a seconda dell’occasione: bordate hard rock come l’iniziale “Kriga” o l’epica “Soldaten” (che mi ha ricordato i grandiosi Wishbone Ash) sono bilanciate da brani più modulati come la malinconica “Dockan”. Svisate rock’n’roll come “Trollkarl” si alternano alla passionalità blues di “Den nya folksporten”, passando per preziosi inserti acustici e d’armonica (“TV-varld” e “Sa langt bort”), fino al finale affidato all’assalto hendrixiano di “Varfor ska ni sa?”.
Ripeto, dispiace solo per le liriche in madrelingua che impediscono di comprendere in pieno il senso concettuale del gruppo. Per il resto siamo di fronte ad un disco favoloso: la riscoperta del suono vintage passa per la Svezia, lasciarsi sfuggire questo “Sov gott” sarebbe un vero peccato…

Alessandro Zoppo