The Gluts – Ungrateful Heart

Pazzeschi The Gluts. Nel periodo più buio di sempre per la musica live, riescono a concentrare nei 43 minuti scarsi di Ungrateful Heart, il loro quarto album, tutta la furia selvaggia e iconoclasta che sprigionano sul palco. Perché è una fortuna quando si ha l’occasione di vederli dal vivo in un club. Poco importa che sia un festival come il Fuzz Club di Eindhoven o un locale che si trasforma subito in un budello puzzolente.

Dieci canzoni, la produzione di Bob de Wit (già al lavoro con Sonics e Mudhoney, Gnod, White Hills e Radar Men from the Moon: non certo i primi arrivati), un piede sexy infilato in una scarpa nera con tacco e poggiato su divano rosso in pelle che campeggia allegramente sulla copertina. Ungrateful Heart è come José Altafini, il campione che a Napoli divenne core ‘ngrato: un golazzo che non si dimentica, anche se fa male.

La formula The Gluts è semplice: prendi il punk e l’hardcore americano, lo mischi con lo stoner, il noise e la psichedelia. Il gioco è fatto. Più o meno. Perché poi subentra la capacità di scrivere canzoni che rimangono, e in questo i quattro sono eccezionali. È il caso dell’iniziale Mashilla – un missile terra-aria che sarebbe piaciuto a Rob Tyner e Fred Sonic Smith – o dell’oscura Ciotola di Satana, che merita pure la palma di miglior titolo dell’anno.

Si viaggia tra canzoni di sballo e d’amore come Love Me Do Again, la notturna e malinconica Black Widow (non prima di un finale a dir poco fuori di testa), la hit smaccatamente punk Bye Bye Boy (se non fosse per quei wah-wah che tolgono il fiato), l’intermezzo shoegaze di Leyla, Lazy Girl from the Moon che fa da ponte per la melodia malsana e appiccicosa di Something Surreal.

Le ritmiche sono un treno in corsa, un trattore cingolato mai gommato. La cottura a fuoco lento di Breath ricorda i tempi gloriosi degli sferraglianti 500 Ft. of Pipe e dei grandiosi E.X.P., alfieri dell’acid rock made in Italy. Nicolò urla come un forsennato e sbraita dietro al microfono, Marco spara fuzz e wah-wah micidiali. La band milanese si esalta sul tappeto stoner’n’roll di FYBBD – per spazzare via ogni neofascismo – e chiude i giochi prendendoci alla gola con Eat Acid See God, finale iper-lisergico, distorto all’estremo e mostruosamente narcotico.

Non perdete The Gluts per nessuna ragione al mondo quando saranno nuovamente in tour in Europa. Se possibile in un club piccolo, caldo e accogliente: sarà la definitiva riconciliazione con la musica dal vivo. Altro che Måneskin.

Alessandro Zoppo