THEE JONES BONES – Stones of Revolution

Thee Jones Bones: ovvero come imparai ad amare il rock and roll ripartendo dal blues e dalla chitarra acustica. Giunti al quarto album in studio (più una demo autoprodotta), il gruppo bresciano muove verso i Sessanta e i Settanta. Non sono affatto ingannevoli gli archi beatlesiani che sorreggono le frasi di chitarra nell’iniziale “Free” (nomen omen, tra l’altro): il linguaggio di questo disco è quanto di più “classic” si possa ascoltare nell’anno domini 2012. Rolling Stones, Led Zeppelin, Cactus, ZZ Top, New York Dolls e chi sa quanti altri gruppi costituiscono il background di Screaming Luke Duke (chitarre, voce), Brian Mec Lee (batteria), Frederick Micheli (chitarre, voci) e Paul Gheeza (basso, voci). Seppure siano sprazzi stoogesiani di chiara fama “Alright for You” (i Turbonegro sono sulle vostre tracce: vogliono questo pezzo!) e iridescenze glam “Out of Sync”.Lo stesso percorso lo hanno intrapreso di recente dagli emiliani Small Jackets, ma i nostri puntano più definitamente verso il songwriting ottenendo migliori risultati e più efficacia nel rompere la bolla del retronuevo. Qualcosa che fa ritornare in mente i ruspanti Black Keys, ma senza quel debosciato di Danger Mouse. “All for the Money” vede Keith Richards strimpellare e Mick Jagger zompettare; “Help Me”, per contro, ha un’aria Lennoniana sporcata nei cieli del southern rock, con tanto di sezione fiati, e la causa persa di “Lost Cause” è quella che cerca di vincere da sempre il nostro caro Jon Spencer con la sua Blues Explosion. Barbe ispide e chitarre slide alla ZZ Top rompono la monotonia della città di provincia (“Leave This City”) e c’è anche il tempo per innamorarsi in una Penny Lane di una Londra mai stata così solare (“Everything”). Tutto procede per il meglio quando la tua esperienza ti ha portato a sentire tanta bella musica: ti senti sicuro delle tue armi e te ne pavoneggi fieramente. Come quando si aprono dei singing together da paura in “Thinking About” insieme a female vocals che stuzzicano i vizi pruriginosi di noi maschietti: molto bene.
La conclusiva “Woody’s Walk” ci ricorda che il rock’n’roll party non è finito e mai finirà. “I Wanna Rock”, come diceva qualcuno una trentina di anni fa. E l’eco di quella richiesta non si è ancora spento. Meno male.

Eugenio Di Giacomantonio