VORTICE CREMISI – Falling into the crimson vortex

Gli anconetani Vortice Cremisi sono stati il primo gruppo italiano a cimentarsi con la materia heavy psichedelica e paradossalmente sono stati gli ultimi a pubblicare il disco d’esordio. “Falling into the crimson vortex” vede la luce dopo un minialbum devastante, la partecipazione all’ormai storico “Cookery course” e uno split condiviso con gli inglesi (altrettanto bravi…) Sidewinder, ma in questo caso la materia sonora del Vortice è totalmente propria, così piena di consapevolezza da far esplodere le casse dello stereo nonché le nostre (fortunate…) orecchie.
Le coordinate del trio non sono poi così cambiate rispetto agli esordi: sulla strada imboccata dal gruppo incrociamo infatti stoner, doom, psichedelia acida, noise, space e sfumature punk, anche se ora si respira una capacità tecnica e compositiva fuori dalla norma, mai toccata prima. Giovanni Cifaldi diventa il mastermind, elabora trame asfissianti e torbide, cimentandosi con chitarre, basso e voce; Paolo Panni lo supporta alla grande alla sei corde con riff grevi come macigni; infine, Massimo Di Prenda, batterista immenso, capace di sfuriate in puro stile hardcore così come di tocchi eleganti e al tempo stesso mastodontici, rende il tutto ancora più completo.

Con “Mr. Delta Plane” (già presente sul citato split) non poteva esserci inizio migliore: un giro di chitarra opprimente uccide ogni resistenza, il drumwork micidiale di Massimo crea uno slow-tempo che accelera all’improvviso, mentre il cantato di Giovanni alterna parti sofferte e lancinanti ad altre più rilassate…non c’è che dire, un prologo memorabile! Le influenze della band sono le solite, Black Sabbath, Kyuss, Helmet e Soundgarden su tutti, ma si percepiscono anche echi di Corrosion Of Conformity e Tool, band il cui fardello non viene ripreso in modo fine a se stesso, ma con capacità enormi, tali da rendere il prodotto finale assolutamente originale, proprio, in una sola parola unico. Lo dimostra “No welfare”, personale elaborazione del desert-rock acido e lisergico, dall’atmosfera senza tempo, dove ci si sente come lanciati in un gorgo di sensazioni insolite, perfettamente evidenziate nel chorus dallo stampo melodico dato da Giovanni (autore di lyrics molto intelligenti e mai banali).

Nella strumentale “March wave’s, corrosion by natural elements” si affronta in pieno un esperimento di heavy psichedelia espansa: le chitarre liquide e sognanti fanno da contraltare alle ritmiche robuste e possenti, fin quando uno stacco ai limiti del rumorismo più estremo non produce uno stato di ipertensione acuta, placato solo nel finale con il ritorno alla fase iniziale più pacata e decisamente melliflua. “Real men” è un episodio molto tirato, incazzato quanto basta per creare un incedere epico (non a caso il nome del gruppo è tratto dalla saga fumettistica di “Conan il Barbaro”…) che scoppia incandescente nell’assolo di chitarra sghembo e destrutturato, acido e incostante così come le vocals.

Ma è con la song successiva che si arriva al picco del lavoro: si tratta di quella “Wrarrl, the Limbo’s dimension” già presente su “Cookery course” e che presenta quasi nove minuti di un’intensità unica, stoner rock al quadrato, prima ricco di fuzz e distorsioni, poi lento, emozionante (come rimanere impassibili di fronte ad un basso così avvolgente, a delle percussioni così magmatiche e a degli arpeggi così ariosi…), ma comunque minaccioso (il crescendo della batteria sembra annunciare l’arrivo di un tornado…) , infine deciso e squadrato. “Last moment” strizza l’occhio agli anni settanta, così come del resto fa il materiale rimanente, ma con una sensibilità tutta contemporanea, figlia del Seattle sound e delle contaminazioni odierne che oltrepassano tutti i generi. “Demands” viaggia invece su binari nervosi, quasi isterici, tra noise e attimi di lucidità presto smarriti per far posto a rabbia e passione.

Si giunge verso il gran finale con “Good action”, pezzo veloce e minaccioso dallo stacco groovy e tribale (con un grande lavoro di basso…) che lascia spazio agli otto minuti di “Crimson vortex”, emblema di ciò che i Vortice Cremisi sono oggi: chitarre martellanti (l’inizio ricorda una certa “Jesus Christ pose”…), sezione ritmica al vetriolo, fughe spaziali, vibrazioni mesmeriche, rallentamenti bruschi, parti vocali ispiratissime (tra John Garcia e Maynard James Keenan), insomma tutto ciò che c’è da chiedere ad un gruppo che suona musica del genere!

Spegnete le luci della vostra camera, mettete questo cd nel lettore e lasciatevi avvolgere in questo vortice di emozioni allucinate, non ve ne pentirete…

Alessandro Zoppo