Wet Satin

Wet Satin – Wet Satin

Ascoltando il disco d’esordio dei Wet Satin sembra di essere finiti nell’Amazzonia peruviana di Fitzcarraldo. Ma a differenza del film di Werner Herzog, qui dentro non ci sono il folle desiderio del barone irlandese interpretato da Klaus Kinski di costruire un teatro d’opera in una missione nella giungla, né la caparbia volontà del regista tedesco di rischiare la vita pur di realizzare il suo sogno. Il debutto di Jason Miller e Marc Melzer, un passato comune nei Lumerians, è segnato dalla voglia di divertirsi.

Attenzione, la leggerezza dei Wet Satin non è mai superficialità. È semplicemente la necessità di guardare col sorriso sulle labbra alla loro California (i due arrivano da Oakland) e immaginarla come il cuore della foresta amazzonica grazie alla musica. Miller e Melzer chiamano il loro suono Kosmische tropicale. E in effetti, i dieci brani di questo lavoro sono un miscuglio mellifluo e minimalista di kraut rock e library music, cumbia e afrofunk, psichedelia elettronica e cosmic disco. Qualcosa di simile a Friends of Dean Martinez e Tangerine Dream, o a Heroin in Tahiti e Throw Down Bones, per restare alle nostre latitudini.

Wet Satin, psych tribale e bagni di sole

“La musica ha la capacità di alterare l’ambiente e di portarti altrove – raccontano i Wet Satin –. Ci siamo davvero divertiti molto a scrivere e registrare questo disco. Il processo creativo è stato a metà tra l’eccessiva indulgenza e la necessaria catarsi, ma alla fine ha raggiunto una sorta di equilibrio”. Strati di suoni si sovrappongono l’uno sull’altro e donano la sensazione di una piacevole passeggiata a piedi nudi sull’erba bagnata, sotto gli sguardi di un bradipo, un’ara scarlatta e una scimmia ragno.

Dai misteri dell’iniziale WitchKraft Singles a quelli della conclusiva Erta Ale, passando per la lentezza umida di Bad Wax, la danza meccanica di FonzieDance4u2 e la malinconia appagante di Colored Tongues, il viaggio dei Wet Satin attraversa un verde lussureggiante, distese di sabbia rovente e infinite primavere. È suadente la voce di Jessica Brugnon che accompagna Brandy Stains, ipnotizzano le percussioni di Joseph Rynd e di Luis Vasquez dei Soft Moon. Tutto è al giusto posto: le chitarre sottili e il basso pulsante, le ritmiche battenti e gli inserti di vibrafono e sintetizzatore.

L’opera prima dei Wet Satin è un lavoro da assaporare lentamente, un ascolto perfetto mentre ci si crogiola al sole come rettili per immagazzinare energia e trovare il tempo di vivere davvero. Per non farsi mancare nulla, Fuzz Club Records pubblica il disco in un elegante e raffinato vinile rosa 180 grammi.

Alessandro Zoppo