Witches of Doom – Deadlights

I romani Witches of Doom fanno le cose per bene. Hanno esordito nel 2014 con “Obey” e da allora non si sono più fermati. Concerti su concerti in Italia e all’estero, contratto discografico con l’americana Sliptrick Records, il secondo disco “Deadlights” prodotto da Frederik Folkaiare (Unleashed) e anticipato dal singolo “New Year’s Day”, cover del classico degli U2 arricchita alla chitarra dall’ospite Paul Bento (ex Type O Negative e Carnivore). Cosa manca? Una dose maggiore d’originalità ad una proposta che fonde metal, dark e gothic doom. Un genere scivoloso, che ha avuto negli anni Novanta il suo periodo di massima gloria.

Federico (chitarra), Danilo (voce) e Graziano (tastiere) – sul disco hanno suonato i fuoriusciti Jacopo (basso) e Andrea (batteria) – amano alla follia Type O Negative, Paradise Lost, Tiamat, Moonspell e Amorphis (come verrebbe fuori altrimenti un brano come “Run With the Wolf”?). E non fanno nulla per nasconderlo, a costo di apparire fuori dal tempo. Ricordano piuttosto i 69 Eyes, che ai tempi di “Wasting the Dawn” avevano alimentato la speranza (poi abortita) di un rilancio commerciale del gothic rock. Una canzone come “Black Voodoo Girl”, oscura e appiccicosa (oltre che decisamente riuscita), è qui a dimostrarlo.

Pregevoli riff sabbathiani (“Lizard Tongue”, la strumentale “Mater Mortis”), spruzzate elettroniche, progressioni metalliche (“Homeless” è un improbabile incrocio tra i Killing Joke e l’AOR) e una spiccata vena pop (il refrain di “Deface”, la catchy “Winter Coming” direttamente da Westeros) rendono l’ascolto di “Deadlights” fluido e avvincente. Persino lo stoner’n’roll di “Gospel for War” funziona in maniera egregia, come gli umori doorsiani (o sarebbe meglio citare Cult e Danzig?) della conclusiva “I Don’t Wanna Be a Star”. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole (anzi, under the blood red sky), ma quel che fanno, i Witches of Doom lo fanno per bene.

Alessandro Zoppo