WO FAT – Psychedelonaut

È innegabile: i Wo Fat sono dei gran simpaticoni. O almeno, noi proviamo simpatia e facciamo il tifo per loro. Vengono dal profondo Texas, hanno esordito con la demo “From Beyond” ed il primo full lenght “The Gathering Dark”. “Psychedelonaut” è il passo successivo, secondo album che non cambia di una virgola sound e attitudine: basta prendere l’hard rock dei 70, ripassarlo in padella con olio e grassi southern, tingerlo di nero doom sabbathiano e blues sudaticcio ed il piatto è servito. La digestione è facile e soddisfacente, tanto che il sonno conciliatore stimola paradisi onirici popolati da ZZ Top, John Lee Hooker, Orange Goblin, Cactus, Sleep e Jimi Hendrix.Barbe incolte, camicie da boscaioli, cappello da cowboy e stivale d’ordinanza. È questo l’immaginario di riferimento, completato dai doverosi richiami lisergici a b-movies horror e sci-fi. Tuttavia, dobbiamo dirlo: in questi nove pezzi non c’è nulla di originale. C’è un suono sporco, passionale, vibrante. Di genere. Che spesso preferiamo a tante proposte pretenziose e fintamente innovative. D’altronde ascoltare il riff sudicio della title track, la slide di “Shake ‘em on Down” e l’hammond bollente di “Two the Hard Way” è qualcosa che non ha prezzo per chi ha un concetto puro di heavy psichedelia. Il fuzz e il wah wah di Kent si perdono nelle paludi cosmiche, trainati dal basso pulsante di Tim e dal drumming frenetico di Michael. Roba come “Enter the Riffian” e “El culto de la avaricia” erige un sacro altare al dio del doom. Tony Iommi e Mississippi Fred McDowell con il big muff a palla e l’ascia da combattimento.
Se non gradite le movenze groovy pachidermiche di “Not of This Earth” e la psichedelia drogata della cavalcata “The Spheres Beyond” siete sulle pagine sbagliate. Forse stavate cercando Rock Star…

Alessandro Zoppo