WOODEN SHJIPS – Back to Land

Un processo d’evoluzione costante, per certi versi simile a quello dei Black Angels, rappresenta il percorso discografico dei Wooden Shjips che con Back to Land arrivano a pubblicare il quarto album, secondo sotto il beneplacito della Thrill Jockey, dopo il bellissimo West.

Evoluzione della scrittura fine sia chiaro, non di stile. Si intercetta il bisogno di “sgrossare” la materia primordiale del songwriting dei nostri con una lavorazione al dettaglio. Complice, forse, il trasferimento di Eric “Ripley” Johnson (voce e chitarra) e Omar Ahsanuddin (batteria) in Oregon, dove il clima più soleggiato ha favorito l’espressione più calda, mutuando l’idea primordiale di alchimia tra Doors, 13th Floor Elevators e Can in una rinvigorita idea di toxic rock à la Velvet Underground meets Crazy Horse.

C’è qualcosa di prettamente americano, insomma. Ruins e These Shadows potrebbero essere elette motion picture soundtracks di un remake di Easy Rider del 21° secolo. Il cerchio ipnotico si è arricchito di accessori graziosi, come chitarre acustiche e languidi (bellissimi e mai stucchevoli) pattern di chitarra a metà strada fra solos ed effetti. Affiora anche l’urgenza che ha reso il precedente disco il più nervoso della carriera dei nostri in pezzi come In the Roses, Other Stars e Sevants: soglie vicino alla galassia interstellare Hawkwind.

E qui gli ammiratori dello spazio profondo possono giovarsi di familiarità assortite come phaser, delay, cosmic trip & space paranoid. Un trittico che riporta a galla la vera natura dei Wooden Shjips, felicemente freaky e drugs addicted. Tutto un attimo prima di congedarci con il finale semi acustico di Everybody Knows come richiamo a spiegare che la vera bellezza si svela nell’eterno ritorno al punto di partenza, con due accordi due e la voglia di cantarci sopra. Radicali e quindi senza tempo.

 

Eugenio Di Giacomantonio