DAVE SCMIDT

Dave Schmidt è un grandissimo personaggio, c’è poco da fare. Porta avanti da tanti anni un progetto coerente e motivato fregandosene delle mode e dei trend. Ama la psichedelia, quella classica e quella contemporanea. Stravede per il kraut rock e lo space. E lo si sente…Ha messo in piedi prima i Sula Bassana, poi Weltraumstaunen, Zone Six e Liquid Visions, proprio con l’intento e la voglia di riportare in auge questo suono che tanto ha dato alla storia della musica. Questo piccolo speciale non vuole essere un compendio totale su tutta la produzione di questo fine musicista. Si pone piuttosto l’intento di far luce sulle ultime uscite che hanno caratterizzato la discografia di Dave e soci.

Partiamo con il progetto Weltraumstaunen, portato allo scoperto dalla sempre attiva Nasoni Records grazie alle sue releases viniliche. Il primo lavoro di questo super gruppo (eh sì, di super gruppo si parla vista la presenza in formazione di Dave, Silk dei Growing Seeds e Andi, anche lui Growing Seeds e Jonas Flux) è un impasto di space rock e heavy psych dall’alto tasso onirico. Si ha proprio l’impressione di essere comodamente sdraiati su un astro e ammirare le magnificenze del nostro universo…
Già l’iniziale “Pollenflug” (interamente suonata da Dave) trascina sui binari tanto cari allo space ritual degli Hawkwind, poi sul primo lato del disco ci pensano “Clockline” (sinuosa orgia di suoni divisa tra rumori provenienti da un’altra galassia e svisate elettriche) e “Kraut” (altro esperimento solista di Dave che ci riporta ai fasti di Can e Faust) ad estraniarci completamente da ciò che ci circonda.
Il vero pezzo da novanta è però il primo brano della seconda facciata: gli oltre 20 minuti di “Astonished…like the Universe” sono stati eseguiti durante una notte di luna piena e come un rito sacrificale si espandono sulla base di chitarre acide, synths, organo e vocals filtrate. Un diamante di puro space rock! A chiudere il tutto ci pensa “Last flight”, epitaffio mistico che fa rivivere le stranezze dei Gong.

Passa qualche anno e la Nasoni torna sul mercato con un nuovo lavoro a nome Weltraumstaunen, intitolato “Weltraumwelt”. Siamo al cospetto di un disco meglio messo a fuoco rispetto al suo predecessore. Nove tracce che riprendono dove il debutto aveva lasciato, andando però a riformulare la proposta con maggiore compattezza e determinazione. Se prima prevalevano le lunghe jam, ora si media tra l’improvvisazione e una intrigante forma canzone.
Una maggiore propensione melodica forse propiziata dal lavoro a quattro mani effettuato da Dave Schmidt e Andi Heinrich, rimaste le uniche due menti coinvolte in questo progetto. Due cervelli giganteschi però, in grado di dar vita a due mini suite (le due parti di “Black dove”, bellissime e colorate escursioni psichedeliche, e il kraut sperimentale di “Farfisadelic”) e ad altre canzoni ricche di pathos onirico quali la lisergica “Doors” (il ricordo va verso i Dead Meadows), la suadente space ballad “Wizard vs. Time” e l’ipnotismo della strumentale “Weltraumwelt”.
Sul piano più cervellotico invece emergono dal calderone di rumori “Hoffmannsmahl (the dwarves of yore)”, “Floating in space” e “Introfernale”, bagni acidi dove sono i synths a regnare sovrani.

Blue Cheer 1968, Dickie Peterson, Leigh Stephens, Paul Whaley, Stinson Beach, © Photo Herb GreenePassiamo ora ad un’uscita targata 2002, “Hypnotized” dei Liquid Visions. L’avvio è affidato a “State of mind” e “Waste”, bellissime garage psych song come non se ne sentiva da anni e anni. I chorus melodici e le chitarre graffianti che le animano sono un esempio di raffinatezza sopraffina e grande capacità esecutiva. Con “Butterflight” entriamo nel campo nella psichedelia cosmica tanto cara a Dave: puntuali fughe di chitarra e struttura aperta ad ogni contaminazione sono il perno sul quale ruota la composizione, ispirata come al solito.
“Be lie’ve” ha invece i toni soffici e delicati dei Grateful Dead. Le percussioni, le divagazioni di basso, batteria e chitarra, la voce pacata, tutto rimanda alle atmosfere sognanti della psichedelia californiana. Si passa poi ai suoni dilatati di matrice Pink Floyd quando tocca a “Morning rain”, dieci minuti di un’intensità unica, soprattutto i cinque finali, da godersi appieno per capire quale sia il significato del termine “rock psichedelico”. La conclusione è opera di “Paralyzed”, lento epitaffio che si basa su wah-wah e vocals fatate. Uno stato di grazia onirica che suggella un disco a dir poco strepitoso.
Il progetto Zone Six (avvitato nel 1998) ha come ultima emissione “Any noise is intended” e vede Dave alle prese con un rock psichedelico dalle innumerevoli sfaccettature: si parte con i venti minuti dell’iniziale “Score track”, brano dove si agitano insaziabili le chitarre di Julius e gli effetti psicotropi di Rusty. Un impasto di psych rock, space, trance e kraut da autentico capogiro, un turbine di sensazioni che rapiscono l’anima per portarla alla scoperta dei suoi pensieri più nascosti. La title track è composta da altri quindici minuti di grande astrattismo psichedelico, espresso in un crescendo allucinato che sembra non lasciare scampo. Siamo avviluppati in una materia sonora tanto calda e pastosa da far rimanere bloccati, vittime delle nostre stesse onde cerebrali. Chi non ne ha abbastanza degli Ozric Tentacles qui troverà pane per i suoi denti…
“Psss……” è invece una bizzarra sequenza di rumori, incollati l’uno all’altro da stili diversi: si inizia con un tema in stile Morricone e si finisce con i suoni di una sonda spaziale. E’ comunque un passaggio che prelude all’avvento di “Bauchfellhavarie”, altra apoteosi di stranezze rumoriste da manicomio. Il gran finale è affidato però a “The Gotthun”, cavalcata a piedi nudi nell’universo, un cerimoniale dove tra chitarre cariche di groove e astro synths si incrociano Hawkwind e Amon Duul, Can e Farflung.

Blue Cheer 1968, Paul Whaley, Dickie Peterson, Leigh Stephens, Dolores Park Playground, San Franisco, © Photo Jim MarshallTra 2003 e 2004 Dave Schmidt non sta certo con le mani in mano. Prima operazione che viene portata a termine è il progetto che lo vede coinvolto con Ax Genrich (chitarra) e Mani Neumeier (batteria, percussioni, voce). Titolo del disco “Psychedelic Monsterjam”, praticamente già un programma. Nove brani per una durata complessiva che supera abbondantemente l’ora e un quarto. Tracce nate dal momento, dall’ispirazione spontanea della jam, in pieno stile psichedelico. Il tutto registrato dal vivo in presa diretta durante due set, entrambi a Wurzburg. Il risultato è un concentrato denso e magmatico, molto statico nell’impostazione quanto alienante nell’atmosfera che ne viene fuori.
Quattro sono i cardini sui quali poggia l’intero cd: la rarefazione mistica di “(Do you want to) Boogie in Bombay” (10 minuti di sospensione sonora tutta interiore), la trance acida e smaccatamente rock di “Moonlight flight”, l’intensità emotiva e rumorista di “Next time see you at the Dalai Lhama” e l’esplosiva carica mesmerica di “Electric junk”, 18 minuti di puro godimento provocato da ritmi portanti, pause sperimentali e brusche riprese di quota.
Gli episodi più brevi invece mettono in mostra gusto e sensibilità nel sintetizzare la materia psych. L’iniziale “Bong” colpisce con una chitarra esplosiva come non mai; le due parti “Stone in” e “Stone out” sono cibo per la mente servito con spezie di ignota provenienza; “Rising sun” è una boccata d’aria fresca, momento solare e distensivo; “Mushroom moon” è la degna conclusione a base di percussioni ed effetti per un disco da godersi in uno stato mentale di assoluto relax.
Il vero capolavoro di questo anno è però targato Liquid Visions e porta il nome di “From the cube”. Tra le varie opere qui analizzate questa è senza ombra di dubbio quella più riuscita ed omogenea, pur nel suo variare di modi e stili. Ci troviamo in un vero e proprio cubo, sballottati nel mezzo del cosmo ed allietati dalle note di questi ragazzi ai quali piace viaggiare, non solo in senso fisico. Space, psichedelia, garage e fuzz rock, tutto scorre nelle nostre teste senza soluzione di continuità.
La grande caratura di “From the cube” la dimostra “Pink cloud”, 14 minuti a dir poco spettacolari: su una base progressive (come costruzione ed impostazione del brano) partono traiettorie che raggiungono la psichedelia espansa, la trance più ipnotica e la corrosività dell’heavy psych (wah-wah e tremolii da brividi sul corpo!). Un must per tutti gli amanti della dope music!
Altrettanto grandiose sono le tracce iniziali, “What it is” e “Out of this room”, compendi di pop rock psichedelico caratterizzati da un sound contagioso, maledettamente melodico, una sorta di spirale tridimensionale dove nasce e cresce una musica vecchia e nuova al tempo stesso. “To be real” ha ancora una volta un chorus memorabile, unito a sapori esotici che rendono il piatto molto ghiotto. I blocchi spaziali di “Moonspell” sono l’ennesimo gioiello imbevuto d’acido, fuzz, jazz e garage interpretati dagli abitanti di Mercurio.

Blue Cheer 1968, Paul Whaley, Dickie Peterson, Leigh Stephens, Dolores Park Playground, San Franisco, © Photo Jim Marshall

Il tratto conclusivo lo si percorre con “Ebola monster”, percussioni e chitarre dilatate che solo sul finire esplodono fragorose in una sorta di estasi psycho heavy jazz… insomma, il giramento di testa è assicurato!
Ultimo tassello di una lista così preziosa è “Dreamer”, nuova uscita a nome Sula Bassana, il progetto che forse Dave ha più a cuore (e dietro il quale si presenta più spesso). Di “Dreamer” ne esistono due versioni: una in 33 giri edita dalla solita Nasoni, una in cd licenziata dalla Sulatron Records di Berlino, con bellissimo artwork della Malleus. Come sonorità siamo sempre sulla stessa direzione: acid rock pregno di organo, synth e chitarre languide. Una esplorazione del sogno nella migliore tradizione psichedelica insomma.
L’album si snoda in due parti ideali: i primi tre brani hanno una forma più regolare e composta, melodica ma pur sempre colorata. Le colate di hammond e il manto orientale della title track, i ritmi trascinanti di “Dealer McDope” e il verbo sfasato di “My blue guitar” possono benissimo essere eletti brani simbolo di una concezione musicali più spigliata ed immediata (ovviamente nei limiti del genere considerato).
La seconda fase del disco risente invece della maggiore libertà compositiva che la jam psichedelica concede. “Nervenlahmung” è uno straniante passaggio elettronico che introduce la bellissima “Ananda”, 12 minuti di puro trip, piano dilatato, sax e sitar che esaltano le nostre percezioni sensoriali. Per chiudere in bellezza non poteva mancare il giusto tributo a chi di psichedelia ne ha creata a iosa. Ecco dunque “Baby blue shuffle in D major”, tratta dal repertorio dei Pink Floyd e riletta con uno stile che ricorda molto quello dei migliori Ozric Tentacles.
Sula Bassana, Liquid Visions, Psychedelic Monsterjam, Weltraumstaunen: Dave Schmidt è un vulcano in eruzione. Non commettete l’errore di scansarvi dinanzi a questa piacevole lava ribollente…

Alessandro Zoppo