KYUSS

Da annoverare tra i fondatori del fenomeno stoner rock, i californiani Kyuss ne rappresentano il più elevato vertice qualitativo. Storia di una delle migliori rock band degli anni ’90.

Josh, Brant, John, ScottSiamo a Palm Desert, sul finire degli anni ’80, una cittadina situata nel sud della California, il cui nome già ci fa intendere in quale habitat sia germogliato il sound dei Kyuss, una band con il deserto nel sangue.

Tre compagni delle superiori formano una band chiamata inizialmente “Captain Jammer” A questo progetto partecipano Josh Homme, Brant Bjork e Chris Cockrell particolarmente legati anche dal fatto che giocano nella stessa squadra di football della scuola. Dopo alcune apparizioni all’interno dello stesso istituto, Chris Cockrell presenta ai suoi amici John Garcia il quale dormirà in stanza con Brant e comincerà a cantare per la band.

Nel 1990 i “Captain Jammer” decidono di cambiare il nome in “Sons of Kyuss”, ispirandosi apertamente al famoso gioco di ruolo Dungeons & Dragons. La formazione è così composta: John Garcia alla voce, Josh Homme alla chitarra, Chris Cockrell al basso, e Brant Bjork alla batteria, cioè tre quarti dei veri e propri Kyuss, che ufficialmente nascono l’anno successivo. La band comincia ad uscire dal circuito scolastico e pubblica un album con otto brani.

Sons of Kyuss”, pubblicato in sole mille copie su vinile verde (nel 2000 ristampato su CD, ma non per questo di facile reperibilità), contiene, in una versione che sarà successivamente rivista, una parte dei brani che prendono poi la loro forma definitiva in Wretch (1991, con Nick Oliveri al posto di Cockrell al basso), il vero e proprio debutto dei Kyuss. Il loro sound non è ancora maturo, lascia intravedere a sprazzi quello che di lì a poco diverrà il loro tipico suono stoner, ma la qualità dei brani non è eccezionale, e la loro esecuzione manca ancora di alcuni elementi, anche “formali”, che li renderanno inimitabili con gli album successivi. E’ forse il loro lavoro più tipicamente hard rock, nell’accezione classica del termine. In poche parole, se i Kyuss si fossero fermati qua, o avessero continuato con album dello stesso tenore, probabilmente non saremmo qui a parlarne.

Nel 1992 esce, per contro, quello che molti considerano il loro capolavoro, Blues for the red sun, con il quale inizia anche la collaborazione con Chris Goss (fondatore dei Masters of Reality nel 1981), nelle vesti di produttore. Goss rappresenta il padre putativo di Josh Homme. Le influenze chitarristiche si fanno fortemente sentire e il forte legame di amicizia che li lega, li porterà insieme, a collaborazioni estemporanee e indipendenti, capaci di far confluire tutta la genialità, che dalle loro menti ne partorisce. Blues for the red sun sta allo stoner come “The piper at the gates of dawn” dei Pink Floyd sta al rock psichedelico della fine degli anni ’60. Ed è proprio la psichedelia, quella legata più alla scena americana e all’acid rock dei Grateful Dead, dei Jefferson Airplane e di Jimi Hendrix, unitamente alla pesantezza dei primi Black Sabbath, a forgiare il loro suono. A ciò si aggiunga la felice intuizione di utilizzare strumentazioni vintage o comunque volte ad ottenere un sound seventies, decisamente grezzo, in un periodo – quello a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90 – in cui le tendenze dominanti sono tutt’altre. Amplificatori rigorosamente valvolari, batterie Ludwig, effettistica ridotta al minimo, e anch’essa impiegata in modo da ottenere i suoni caldi ed essenziali tipici del rock degli anni ’60 e ’70 (vibrato, flanger usato quasi come l’uni-vibe, wha-wha, distorsioni valvolari), nonché utilizzazione di frequenze basse e taglio delle più alte, per conferire alla loro musica ancora maggior pesantezza: questa è la loro ricetta.

Certo, fin qui nulla di nuovo sotto il sole, descritta così l’attività della band può sembrare del tutto revivalistica, tuttavia con Blues for the red sun è nato qualcosa di diverso. E’ come se i Led Zeppelin fossero tornati ai loro inizi, dopo aver visto i Metallica e tutto quello che c’è stato in mezzo. Questo è lo stoner (termine che, peraltro, è stato coniato dalla critica e che non è mai andato molto a genio a Homme e compagni), un hard rock psichedelico che guarda indietro, che vuole fare a meno del metal e delle sue derivazioni, ma che, volente o nolente, ci è passato attraverso.

Ad onor del vero, i componenti della band spesso hanno citato gruppi punk (ma non solo, anche i Black Sabbath, per esempio) fra le loro influenze, anche se, l’unico elemento che può definirsi punk nella loro musica è il rifiuto dell’assolo di chitarra come espressione virtuosistica. Per certi versi è invece inevitabile il paragone tra lo stoner e il coevo movimento grunge, che nello stesso momento storico ha preso forma a Seattle, ma, come già altre volte in passato, il fattore territoriale è riuscito ad imprimere una differenza di fondo tra i due generi musicali, il grunge e lo stoner, percepibile anche solo a livello emozionale. D’altronde, come detto, il messaggio musicale dei Kyuss è impregnato indelebilmente di atmosfere desertiche, non di quelle di una metropoli come Seattle. E si sente. I Kyuss sono terribilmente brutali, pesanti, a tratti acidi, con qualche pausa qua e là che non è mai malinconica, tutt’al più venata di una tristezza che fa venire alla mente spazi sconfinati (e qui il discorso si riallaccia con la psichedelia). Tutto ciò non si trova nel grunge, che ha rappresentato (pur nella sua varietà stilistica) altre situazioni, altri stati d’animo.

Nel 1993 Scott Reeder rimpiazza Oliveri al basso, proprio nel corso di un tour mondiale che porta i Kyuss in Australia insieme ai Metallica. Nel 1994 esce Welcome to Sky Valley, forse il loro disco più psichedelico, pur senza rinunciare alla pesantezza dei lavori precedenti. Le note all’interno dell’album consigliano inconfutabilmente un ascolto senza distrazioni. Difatti i brani, come già in Blues for the red sun, hanno una durata media piuttosto elevata, grazie alla loro improvvisazione “lisergica” contaminata a tratti con tracce di hard blues. C’è spazio anche per uno dei rari momenti acustici della band, la splendida “Space cadet”, di quasi sette minuti, una sorta di “Planet Caravan” striata di venature orientaleggianti, con la voce di Garcia a tratti filtrata alla Ozzy Osbourne, un’autentica ballata del deserto. In Welcome to Sky Valley troviamo anche la partecipazione di un altro guru della “scena desertica”, Mario Lalli (fondatore, insieme al fratello, dei Fatso Jetson nel 1994), che inciderà indelebilmente l’assolo di chitarra nel brano “N.O.”.

Alfredo, Josh, John, ScottNel 1995, dopo un ulteriore cambio all’interno della line-up (Alfredo Hernandez sostituisce Brant Bjork alla batteria), nasce il loro ultimo vero e proprio album, … And the circus leaves town, che segna un parziale ammorbidimento del gruppo per quel che riguarda il lato psichedelico del suo sound. Questo cambiamento di rotta è però compensato dal fatto che in questo disco sono presenti forse le migliori composizioni dei Kyuss, anche per quanto riguarda il rapporto tra melodia della voce e struttura dei brani. Pezzi come “Hurricane”, “One inch man”, “Phototropic” (con un lungo incipit strumentale, e la parte vocale centellinata nell’arco del brano fino alla litania finale), “El rodeo” non hanno nulla da invidiare a quelli contenuti nei dischi precedenti. Anche in quest’album Mario Lalli partecipa alle parti vocali contribuendo ad arricchire il sound avvolgente di … And the circus leaves town.
La band raggiunge l’apice della sua popolarità. Le numerose partecipazioni ai festival estivi mostrano una macchina perfetta che il pubblico gradisce. Ma paradossalmente, poco prima della fine del 1995 i Kyuss si sciolgono. Non è mai stata chiara la reale motivazione che ha indotto i musicisti a intraprendere questa scelta, anche se alla base esisteva una diversità di vedute tra Garcia da una parte e Homme e Goss dall’altra. I diretti interessati non hanno mai voluto affrontare a fondo il discorso.

Qui finiscono i Kyuss, ma è bene ricordare che praticamente tutti i membri del gruppo hanno continuato le loro carriere con altri progetti: Brant Bjork ha intrapreso la carriera solista, dopo essere passato dai Fu Manchu, Nick Oliveri ha creato i Mondo Generator (nome mutuato da una canzone di Blues for the red sun), John Garcia ha dato inizialmente vita agli Slo Burn nel 1996, pubblicando un mini album, e successivamente, insieme a Scott Reeder, ha fondato gli Unida, Alfredo Hernandez ha bazzicato da una band all’altra (l’ultima gli Orquesta del Desierto) mentre Josh Homme, ha fondato i Gamma Ray, presto divenuti Queens Of The Stone Age.

Da menzionare, infine, lo split album Kyuss / Queens Of The Stone Age del 1997 (ma le registrazioni dei Kyuss risalgono all’anno precedente), in cui la band di Palm Desert incide tre brani tra i quali la cover dei Black Sabbath “Into the void”, quasi un omaggio, nel loro canto del cigno, al gruppo che (anche se limitatamente ai dischi dei primi anni ’70), forse, li ha maggiormente influenzati.