MALOMBRA – Ristampe Black Widow Records

Il ritorno con “The dissolution age” e la ristampa dei primi due dischi ad opera della sempre attiva Black Widow ci danno l’occasione di parlare di una band importantissima nel panorama underground italiano, i genovesi Malombra. Il gruppo si è formato all’inizio degli anni ’90 sulle ceneri degli Zess, oscura entità nella quale operavano il cantante Mercy e il bassista Diego Banchero, in compagnia del chitarrista Michele Marchese e del batterista Luca Brengio. Nel 1992 l’incontro di Mercy con il tastierista Fabio Casanova ed il comune amore per letteratura, cinema ed in genere per tutta la cultura mitteleuropea fecero scattare la scintilla: nascevano i Malombra e già dal nome scelto (un romanzo di Fogazzaro portato sul grande schermo da autori come Carmine Gallone e Mario Soldati) si intuisce una passione per tematiche romantiche e decadenti, incentrate su punti chiave che vanno dall’ossessione psicologica alle suggestioni mistiche.
Con l’ingresso in formazione di Matteo Ricci alla chitarra e Mario Paglieri al basso si definiscono anche le coordinate sonore, che spaziano tra il progressive più oscuro e hard (tanto per citare qualche nome Jacula, Balletto Di Bronzo, High Tide, Black Widow) ed il post punk degli anni ’80. La voce teatrale ed evocativa di Mercy trova così sfogo appoggiandosi su tappeti barocchi e tenebrose fughe elettriche.

MalombraNel 1993, dopo un soggiorno isolato in un frantoio nei pressi di Imperia, vede la luce la prima emissione del gruppo, quel “Malombra” che da subito entusiasma la Black Widow tanto da convincere la label ad un contratto immediato. Il disco si presenta piuttosto ostico, è incentrato infatti su due lunghe suite (“In the year’s shortest day” e “Still life with pendulum”) dove magia ed esoterismo prendono vita grazie a sontuosi affreschi dark, atmosfere sinistre ed elaborate strutture incentrate sulla maestosa voce di Mercy nonché sui rimandi che chitarre acide e tastiere pompose operano tra loro. L’alchimia creata dai cinque è pressoché perfetta e si riverbera in brani come la fascinosa “The witch is dead”, l’ossessiva “Butcher’s love pains” e la conclusiva, ossianica “After the passing”. Un debutto che lascerà il segno dunque, sia nel cuore di tanti appassionati di sonorità così metafisiche, sia nel vuoto che la musica italiana viveva in quel periodo.

Passano tre anni e con un avvicendamento interno alla line up (il posto di Brengio dietro le pelli viene preso da Andrea Orlando) i Malombra ritornano con un nuovo capitolo della loro saga, “Our lady of the bones”. Rimane intatto il gusto per l’occulto e per lo spiritualismo (il disco è un concept sull’astrazione filosofica della figura femminile), resta immutato l’amore verso le sonorità lugubri degli anni ’70 (impreziosito anche da parti recitate ed inserimenti di flauto e violino) nonché verso la dark wave del decennio successivo (i toni di Mercy, seppur enfatici e meno “dannati”, sono sempre debitori nei confronti di personaggi di culto come Ian Curtis e Peter Murphy), ma ciò che cambia è la forza del gruppo.

Our Lady Of The Bones“Our lady of the bones” è infatti un lavoro meno istintivo, più ragionato e maturo, costruito attorno ad alcuni nuclei intricati e labirintici (“La venta quemada”, “Our lady of the bones”, “Requiem for the human beast”, la mini suite “Stonehenge”) dove emerge la cura negli arrangiamenti ed un certo gusto mai del tutto sopito per ammalianti barocchismi. Le chitarre si fanno corpose ed incisive, le ritmiche sostenute ed i ricami operati da organo, moog e sintetizzatori sinfonici e maestosi. Ma su tutto è la voce di Mercy a svettare: anche alle prese con una lingua ostica come l’italiano (“Oniria”) mantiene tutta la sua carica austera, notturna, arcana e cerebrale. Pur essendo un album lunghissimo e che quindi necessita di ripetuti ascolti per essere compreso appieno, “Our lady of the bones” affascina e convince, ponendosi come vero punto cardine della discografia del quintetto ligure.

Purtroppo, come succede troppo spesso alle band veramente degne di attenzione, dopo l’uscita del cd le vie dei componenti si separano: gli unici a rimanere (seppure come separati in casa…) sono Fabio Casanova e Mercy, impegnati comunque in altre attività parallele. Se il primo è alle prese con un disco solista che ne sancisce l’allontanamento quasi definitivo dalla struttura madre, il secondo costituisce insieme al vecchio amico Diego Banchero Il Segno Del Comando (gruppo dark prog autore di un disco omonimo di cui consigliamo vivamente l’ascolto) ed in compagnia di Claudio Dondo dei Runes Order gli Helder Rune (dediti però a sonorità electro dark wave in pure stile ottantiano). Questi progetti sembrano dare nuova linfa al singer e così il 2001 segna il ritorno in scena dei Malombra, con una formazione rimaneggiata che vede lo stesso Diego Banchero al basso, Francesco La Rosa alla batteria, Roberto Lucanato alla chitarra e Franz Ekrun alle tastiere.

The Dissolution AgeCiò che viene fuori è “The dissolution age”, lavoro che spacca in due gli appassionati della band: oggetto della discordia è la nuova strada intrapresa da Mercy, meno ancorata agli stilemi dark progressivi (comunque ancora presenti in brani come “The Duncan Browne song”, “Misery domine” e “The lost father”) e più spostata su lidi electro e new wave (vengono in mente gli Ultravox tanto per fare un nome…), senza disdegnare frequenti inserti in territori doom e gothic metal (“The dissolution age”). Notevole deve essere stato anche il fascino esercitato su Mercy dal folk apocalittico di Der Blutharsh, Ain Soph e Blood Axis e dalle visionarie ed ipnotiche scosse di gente come VNV Nation e Funker Vogt.

Alcuni brani sembrano riprendere l’eredità maligna dei Death SS in chiave del tutto personale (“Unknown superior”), altri il fardello etereo e severo del post punk (“The anti-sex”, “Venice Lido 1901”), ma è lungo tutti e 73 i minuti dell’opera che si dispiega un rinnovato carattere, una personalità camaleontica che vuole rileggere ogni angolo nascosto che la musica del passato ha prodotto. In questa chiave “The dissolution age” rappresenta l’ennesima vittoria per il gruppo genovese, capace di evolversi, di non rimanere ancorato a logori schematismi. Vecchia e nuova, ideale e concreta, decadente e moderna al tempo stesso: è questa la filosofia dei Malombra.
Infine, per dovere di completezza, è necessario segnalare la partecipazione del gruppo a diverse compilation, tutte edite da Black Widow: “…E tu vivrai nel terrore”, dove i nostri rendono omaggio al cinema horror e gotico con “Devils”; “Beyond the realm of Death SS”, nella quale viene proposta una rilettura di “The hanged ballad”; “King of the witches”, tributo ai Black Widow reso attraverso “Tears and wine”.

Alessandro Zoppo

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