Stöner Kebab

È la staffetta del diavolo, è la staffetta del diavolo. Continuo a ripetere questo mantra mentre cerco di mettere insieme i pezzi della conversazione telematica che il mese scorso (ahimè, questa Germania più che farmi filare, mi fa far la fila) ho avuto con uno degli attuali membri di una band che si chiama Stöner Kebab. Dal 2004 la formazione italiana con il nome più bello che abbia sentito negli ultimi tempi (secondi solo ai Lords of Bukkake: pardon me dudes!) delizia gli amanti di tutto quello che definiamo “pesante”: iconoclastia/grafia ridondante, suono pieno e fuzzoso, riff evocativi e ironia.Risponde alle mie sciocche richieste, alle pedanti domante e a qualche curiosità Francesco Brizzi. Questa volta cercherò di ricucire i pezzi al rovescio, partendo da quello che riguarda la formazione. A un certo punto, riguardando gli appunti e rivedendo il testo mi rendo conto di non averci capito quasi una mazza e me ne esco con qualche riga confusa…

Scusa Francesco, sto chiudendo l’intervista… Mi puoi chiarire qualcosa sui cambi di formazione della band?
«Effettivamente ricordare tutta la storia non è per niente semplice: puoi però attenerti a quello che c’è scritto sulla nostra pagina Facebook. Per quanto riguarda i vecchi membri – che cambiano a ogni composizione n.d.a. – ti mando questo video esplicativo:
www.youtube.com/watch?v=LCeqmECi5Ko Spero di averti confuso ancora di più! Ah, un’ultima cosa… Logicamente noi (quelli di “Simon”) non saremo quasi sicuramente presenti nel disco nuovo».

È la filosofia, o la voglia di buggerarmi, degli Stöner Kebab quindi.
Ci sono. Posso farcela. Forse.
A ritroso procedo esaminando il materiale raccolto: si passa a considerazioni sul sound, su come è nato e su come si è evoluto, sui gusti e sugli amori musicali.

«Il nostro suono è nato così, come una specie di timbro vocale. Col tempo si è affinato grazie all’esperienza: qualcuno di noi ha cambiato strumentazione o l’ha modificata, ma la sostanza non è mai mutata del tutto, è stata solo ritoccata. Il marchio di fabbrica è dato dall’eterogeneità dei gusti dei componenti della band: abbiamo tanti ascolti in comune, ma ne abbiamo altrettanti diversi.
Questo eclettismo crea una mistura che – un po’ per fortuna, un po’ per casualità e un po’ inconsciamente – fa la sua figura amalgamando insieme ogni influenza. L’unica cosa che ci imponiamo, e che quindi contribuisce a creare lucidamente (possiamo NOI usare il termine lucidamente? – certo caro, puoi dire quello che vuoi anche le parolacce se vuoi n.d.a.) il nostro suono, è di essere il più possibile originali, o comunque cercare di elaborare nella maniera più personale possibile, ciò che ascoltiamo… Ciò che sappiamo fare».

«I nostri gusti sono molteplici e non soltanto quelli musicali: a volte spendiamo le prove a vedere film come “Amore tossico”, o i corti del “Nido del Cuculo”. Altre volte invece riascoltiamo la storia intera di Santina dello “Zoo di 105”, oppure i leggendari scherzi telefonici a Mario Magnotta. Tutto questo, come i film demenziali auto-prodotti, dà un forte contributo a quello che in sostanza è l’essenza degli Stöner Kebab. Se poi vogliamo essere più specifici in fatto di musica ti possiamo raccontare che come prossima uscita stiamo lavorando a un disco di cover riarrangiate secondo il nostro gusto. Abbiamo scelto Pink Floyd, Goblin, Alice Cooper, Obituary, Queen, Entombed, Gong. Ne cerchiamo altri che istintivamente possano essere suonati da noi e non ci poniamo barriere in tal senso, qualunque gruppo (logicamente nel limite del buon gusto musicale) può essere ascoltato e risuonato».

Sinceramente non vedo l’ora di sentire questo disco di cover, ma loro – i componenti della band – ancora non lo sanno. “Simon” (2013) è stato recensito per Perkele dal vecchio Roberto “Nebula”, vero veterano della redazione. Il disco è veramente buono, come quelli passati.
Quando ascolto questo gruppo mi girano in testa decine di domande, decine di particolari da notare e far presente, ed è per questo che – ascoltando nelle cuffie “The Monster”, in un bar di Rosenthalerplatz – vi propongo le ultime battute, che in fondo sono state le prime, scambiate con Francesco.
Gli chiedo, in un impeto di Sturm und Drang, da dove nasce la passione per l’immaginario occulto e ironico, sincretico e sintetico, e ovviamente… Quando hanno venduto l’anima al diavolo.

«L’immaginario esoterico è di per se qualcosa che appartiene al genere… Noi lo moduliamo. Esoterismo e magia sono qualcosa che da sempre attrae tutti, in special modo gli artisti: tutti a modo loro, più o meno seriamente, se ne servono… Anche se la costante è quella di provocare, di creare punto di vista irriverente, alternativo. A noi, in prima persona piace… Passiamo sere intere a parlare ad esempio dei delitti del Mostro di Firenze (e ti sfido a trovare qualcosa di più esoterico).
Gli Stöner Kebab fin dal primo disco hanno avuto verso tutto questo un approccio più ironico, ma non per questo meno serio: scriviamo, componiamo e creiamo i nostri pezzi cercando la leggerezza, ma sondando in profondità. “Imber Vulgi” parlava di una favola contadina anticlericale, “Simon” parla di gnosticismo e relativismo senza incappare nel poserismo, nella poetica maledetta degli autori».

E qualche aneddoto zozzo ce l’hai per me? Non so saputo resistere…

«Aneddoti sporchi… In realtà non ne abbiamo, possiamo dire che ogni nostro disco viene ovviamente composto e soprattutto registrato con dei supplies, che grazie a questi supplies ci dilettiamo in dementi filmini amatoriali reperibili su YouTube, che sempre mediante gli stessi attualmente siamo persi nel creare un concept space rock sul seme che da la vita ecc ecc.
Tutto viene spontaneo, se questo è perché Lucifero ha comprato (bada bene comprato… Noi non gliela abbiamo di certo veduta) la nostra anima, ben venga… Noi ci divertiamo assai!»

Mi lascio davvero andare in un secondo impeto di gioia, perché ho trovato qualcuno che sembra cretino quasi come me, e commento con un accorato: “Ah certo, non mi parlare del Mostro di Firenze, vedo complotti massonici dappertutto. Apriremmo la bocca dell’Inferno, e non mi va di andare a fare un giro a Wewelsburg di sti tempi, fa troppo freddo.”
Sono sempre più presa da questa revisione oggi, come lo ero quando ho cominciato a contattare la band. Dando del tu a Francesco, butto lì un tre di bastoni non troppo velenoso: senti un po’, a proposito del poserismo e della grande ondata del revival psichedelico/pesante… Cosa ne pensi/ate? Alcuni musicisti tedeschi mi rispondono sempre che è tutta una moda, una cosa estetica, che loro cercano di fare le cose diversamente e non si sentono parte di una scena – però continuano a fare locandine che sembrano uscite da Austin Powers.

È davvero solo uno specchietto per le allodole? Abbiamo riportato la parola poser in senso generale e non legata in maniera esclusiva al nostro genere.

«Credo/diamo che in Italia ci sia un sincero interesse nel movimento. Negli ultimi dieci anni accanto a noi, band come Doomraiser, El-Thule, Zippo, Midryasi si sono sbattute portando in giro un suono che pur affondando le sue radici negli anni Sessanta e Settanta, viene fuori con un’originalità e una modernità tutte italiane. Quando qualcosa è fatto bene, quando ci si mette impegno – in quello che si fa, quando si cerca di essere esigenti prima con se stessi e poi con il prodotto che ne scaturisce, si crea della musica di qualità, indipendentemente da quante influenze ci possano essere dentro. I veri amanti della musica lo capiscono.
Logicamente c’è anche chi cavalca l’onda, chi si improvvisa e chi specula, ma per quel che abbiamo potuto vedere noi, suonando in giro con diverse band del genere, possiamo sostenere tranquillamente che il movimento è assolutamente valido e composto da formazioni di tutto rispetto».

Questo mi rincuora, e mi rende soddisfatta di questo breve, telematico incontro. In calce, per rispetto e per curiosità, riporto la lista dei componenti della band, con le precisazioni e le integrazioni fatte dall’intervistato.

“Chapter Zero” (2005): Muccio (basso e voce), Justin Timberland (chitarra), Bubi (chitarra e voce), Rachid (batteria e percussioni).
“Imber Vulgi” (2007): Scotty T. Power (basso e voce), Jason Scalise (chitarra,) Jimmy Venom (chitarra e voce), Steve J.J. Austeen (batteria e percussioni).
“Superdoom” (2010): Adam Banjo (basso e voce), Paulo Crystal (chitarra), Davì Davisòn (chitarra e voce), Kaiser Konig (batteria), Maniac O.C. (synth, tastiere, armonica, voci).
“Simon” (2013): Roba Alberto (basso e voce), Claudio Merlo (chitarra), Frullani Alberto (chitarra e voce), Sergio Roba (batteria).

N.B. Frullani Alberto e Roba Alberto sono i fratelli Alberto.

In “Imber Vulgi” ci sono anche: Devid Dufresne (voce), Sauro Ravalli (armonica), Mr. T. (sitar), Zven (cembali).
In “Superdoom” c’è Devid Dufresne (intro voice in “Tom Bombadil”). Al posto di Maniac O.C. c’è Frau Fritz che in più suona a anche il sitar sulla traccia “Superdoom” (Maniac O.C. suonava le stesse cose di Frau Fritz dal vivo sul tour di “Imber Vulgi”).
In “Simon” Roba Alberto suona anche il sitar su “Sex Sex Sex”.

Infine per la stesura dei testi in inglese e la pronuncia in “Superdoom” e “Simon” ci ha aiutati Igor Adremoid.

Tutti gli album sono stati registrati e mixati da Zven dell’Orange Recording Studio, che risulta essere l’unica persona al mondo ad aver conosciuto tutti i membri degli Stöner Kebab.
Passo e chiudo.

Dopo tutta questa fatica, mi è venuta fame.
Mi faccio un desert falafel.
Alla faccia di chi mi vuole male.

In fede,
S.H. Palmer