12th ROADBURN FESTIVAL
Tilburg (Olanda) – 013

Appuntamento impedibile per tutti gli amanti di stoner doom e psichedelia, il Roadburn Festival organizzato da Walter Hoeijmakers. Questa edizione è stata senza dubbio una delle migliori di sempre, evento avvolgente in ogni senso. Uno spettacolo favoloso. Una serie di show indimenticabili: tutti i musicisti hanno dato il 110% e hanno suonato con l’anima. Un’esperienza ed un Festival unici. Non ci sono parole per spiegare cosa significhi essere allo 013 ed essersi visti quasi la totalità dei propri gruppi preferiti e uno dietro l’altro. Organizzazione del festival impeccabile e locazione perfetta, oltretutto. Ci si aspettava molta più ressa ed invece la situazione è stata ideale.Tantissima gente (in totale 2350 persone, 1750 i biglietti messi in vendita quest’anno, il resto delle persone conta le band e gli addetti ai lavori) ma tutti perfettamente distribuiti in uno dei locali più belli mai visti e senza causare nessun fastidio. Ottima gente, atmosfera calda, concerti memorabili. La cosa sbalorditiva è il livello di professionalità che si vede al Roadburn. Orari rispettati al millesimo di secondo, suoni perfetti (in ogni sala) e gruppi davvero eccezionali! Ma procediamo con ordine. La cosa difficile al Roadburn è il dover accettare il fatto che non si può vedere tutto. Tuttavia i concerti che ci si gode sono assolutamente indimenticabili. Cominciamo dal primo giorno.

Iniziano The Sword: bravi, presi bene, un ottimo warm up. Orange Sunshine: meno bravi. Ancora più statici del solito e in generale poche impressioni positive. Ti danno comunque il tempo per una birra. Pharaoh Overlord: strani. Nel senso che l’evoluzione continua di un solo riff a canzone dopo un po’ stanca, ma ogni tanto sorprendevano davvero. Primo momento topico con i Clutch. Ce li aspettavamo più carichi, se paragonati agli altri show del Festival hanno sfigurato. A volte sembravano svogliati ma in altri episodi del concerto hanno davvero coinvolto. Grandissimo batterista e grandissima voce quella di Neil Fallon. Inoltre il pezzo eseguito con Wino è stato da inchini. Giunge poi il turno dei Porn: idoli assoluti. Dale Crover è il mito di sempre, il chitarrista di più, la camionista con la maglia degli Alabama Thunderpussy ancora di più. Un magma sonoro che passa senza sosta dal delirio alla potenza. E un suono di chitarra che fa rizzare i peli dei capezzoli. Quanto ai Blue Cheer, subito un po’ di delusione. Sembrava che suonassero con il serbatoio in riserva. Ripensandoci però show onesto… e poi è sempre una enorme emozione. Fortunatamente man mano che la band ingranava il concerto si è dimostrato godibile fino al finale con “Summmertime Blues” che ha commosso tutti. Dickie Peterson ha ancora la stessa voce dei bei tempi… in fondo un buon spettacolo. Fine della prima giornata con Melvins + Big Business. Show immenso. Sono stati autori di una prova magistrale e coinvolgente come poche band sanno fare. Suoni perfetti, sala pienissima, due batterie che hanno devastato tutto con Buzzo padrone della scena dall’inizio alla fine. Insieme agli OM il miglior live del Festival. Dale Crover personaggio totale: tre concerti usando due strumenti in una sera. I Big Business invece non hanno entusiasmato. Ok, un plauso per Dale ma i Melvins hanno spazzato via anche loro.

Seconda giornata. Si comincia con gli Acid King. Crover è un uomo fortunato, sua moglie non è proprio un fiore ma quando suona cambia tutto. Intensi, nonostante fossero le 16 hanno creato una grande atmosfera. Suoni davvero entusiasmanti e proiezioni spettacolari ad accompagnare un ottimo concerto. Tocca poi a The Hidden Hand: Wino è dio. Il nano più cattivo del mondo, riesce a dominare il palcoscenico solo con l’espressione del viso. Nonostante il live della sua band a tratti abbia un po’ annoiato (forse ci si aspettava qualcosa di diverso…), Scott ha un tocco quando suona la chitarra raro e unico. Prima del finale è la volta di comprimari di tutto rispetto. In primis i Red Sparowes, che si confermano bravi e stanno diventando sempre più pesanti. Poi gli Orthodox: suoni classicamente drone, intrecci classicamente drone, abbigliamento classicamente drone. Bravi ma con riserva perché anche dal vivo non hanno dimostrato troppa personalità. E quando si parla di drone music il maestro è Joe Preston, l’uomo che se ne frega. Con i Thrones c’è solo lui a fare un casino immondo. Verso il finale c’è qualche cavo che frigge, lui guarda il fonico e dice “chissenefrega”, poi non gli funziona più la drum machine, ma lui dice “chissenefrega” e continua a pestare sul basso. Momento cult. È così giunto il momento dei nomi forti. Prima i Pelican: show da paura. Avevano dei suoni semplicemente perfetti. L’ultimo disco non ha entusiasmato ma dal vivo hanno impressionato. E poi hanno suonato nella Green Room, di sicuro la stanza più bella di tutto lo 013. Il miglior concerto del Festival lo offrono però gli OM. Impressionanti, un’atmosfera incredibile, un’intensità religiosa, una potenza avvolgente. Basso e batteria. Quattro casse e due testate capaci di (de)generare un suono a dir poco apocalittico. Su disco sono grandiosi ma dal vivo ancora di più. Il cantato ipnotico è un mantra, il basso trapana il cervello e la batteria non dà un attimo di respiro. Gli OM sono capaci di generare sensazioni incredibili. Da applausi la versione di “At Giza”, ancora più lenta e pinkfloydiana. Le 21:40 e salgono sul palco i Neurosis, unica data europea del tour promozionale di “Given to the rising”. I ragazzi sono fenomenali. Ce li aspettavamo più riflessivi e intimisti, invece offrono una mazzata dietro l’altra! Una potenza da lacrime. Mai sentita una cosa del genere… grandiosi! Iniziamo una raccolta firme per averli in Italia. Assolutamente. Infine i Colour Haze. Li conosciamo bene: psych rock di lusso, impeccabili come sempre. Green Room stracolma. Bravi, bravi, bravi!
A parole è difficile descrivere le migliaia di sensazioni provate nel corso del Roadburn. Bisogna andarci e viverlo, è un’esperienza unica. L’anno prossimo sarà di 3 giorni pieni, dal 17 al 20 aprile. Prendete le ferie, è un consiglio.