CANDLEMASS
Roma – Alpheus

Una delle tre tappe italiane dell’ “Hellhoundz of Doom and Thrash Tour” passa anche per Roma, che accoglie all’Alpheus il ritorno dei maestri indiscussi del doom metal, gli storici Candlemass. Dopo le due date a Treviso e Milano, è dunque la volta della capitale, città da sempre sensibile agli umori più cupi e trascinanti. È infatti molta la gente presente per l’evento, equamente divisa tra amanti di sonorità estreme (qui per i vecchi thrasher Destruction) e notturni fan della musica del destino, celati tra una birra fresca e una maglietta dei Black Sabbath. La serata fredda e la presenza imponente del Gasometro nei pressi dell’Alpheus (locale tra i migliori di Roma) creano la giusta atmosfera per l’inizio delle (macabre) danze. Arrivati al club (purtroppo in ritardo per assistere alla performance dei Perzonal War, ci dispiace) troviamo ad esibirsi i Deathchain, band finlandese che si è fatta conoscere in giro grazie al buono “Deathrash assault”. Ed è proprio un assalto death thrash quello che i cinque propongono, con pezzi tirati e cattivi, poco originali ma ben eseguiti. I presenti sembrano apprezzare, noi preferiamo attendere consumando l’ennesimo bicchiere…Rapido cambio di palco ed l’ “infernal overkill” viene montato: il classico teschio rotto sullo sfondo e lame rotanti alla base dei microfoni, ecco i Destruction. Una delle leggende del thrash tedesco riscuote ampi consensi soprattutto dai famelici cultori del sound estremo: tanti applausi e cori appassionati per Schmier (buono il suo italiano condito di bestemmie), Mike e Marc, che alternano abilmente composizioni estratte dai recenti “The Antichrist” e “Metal discharge” e brani ormai classici quali “Curse the gods”, “Mad butcher” e “Cracked brain”. Un po’ di stanchezza nell’ultima fase ma tanta grinta e precisione per una band che non si stanca mai ed appare in ottima forma. Tuttavia siamo qui per l’attrazione principale e quando i Destruction esauriscono l’ultimo bis l’attesa diventa spasmodica.
Quattro croci bianche vengono montate sul palco e dopo una breve intro ecco che lo spettacolo inizia, arrivano i Candlemass. Appare chiaro fin dall’inizio che quando la band è in forma non ce n’è per nessuno: la loro perizia, maturata in tanti anni di preziosa attività, è unica, una tecnica sopraffina è messa al servizio di una resa live incredibile, dai suoni possenti e al tempo stesso cristallini. Quando Messiah Marcolin non è sul palco (e lo ringraziamo ancora per la sua disponibilità e gentilezza quando durante il gig dei Destruction ha scambiato quattro chiacchiere con tutti al banchetto del merchandise) è il ‘maestro’ Leif Edling a reggere le fila del gruppo: preciso, massiccio, leader in tutto e per tutto. Si piazza al centro dello stage e fa ruotare attorno a sé il drumwork di Janne Lindh (impressionante per la sua incisività) e il lavoro delle due chitarre. Se Lasse Johansson è piuttosto rigido ma superlativo (nei soli come nella scelta dei suoni), Mappe Bjorkman gioca a fare il gigione, riuscendoci in tutto e per tutto.
Ma quando c’è il buon Alfredo ‘Messiah’ a calcare il palco, gli occhi sono tutti puntati su di lui. Classico saio da trappista, un’agilità insospettabile vista la mole e l’età, un senso of humor che contagia fin da subito: “benvenuti alla notte del DOOM”. E tante altre trovate, dall’intonazione di “lasciatemi cantare/con la chitarra in mano/lasciatemi cantare/sono un italiano” al pranzo del giorno (“buoni gli gnocchi di patate con sugo e vino rosso”). Ma è tutto l’apparato scenico a funzionare: Marcolin non si ferma mai, incita sempre il pubblico (che risponde egregiamente) e se la sua voce non raggiunge più i fasti di un tempo è sempre e comunque un brivido che parte dal cuore e arriva dritto alla punta dei capelli. Lo dimostra la scaletta impressionante elaborata in occasione di questo tour: apertura da infarto con la tripletta formata da “Mirror mirror”, “Bewitched” e “Solitude”, sulla quale non ci si può non commuovere.
È poi la volta del nuovo, bellissimo disco omonimo uscito nel 2005, dal quale vengono tratte il brano d’apertura “Black dwarf” e la complessa “Copernicus”, riproposte con la medesima forza dell’album. Un altro passo indietro e si torna a “Nightfall” con la magnifica “Dark are the veils of death”, seguita dalla strumentale “The man who fell from the sky”, sorta di conclusione della prima parte dello show. Quando Messiah torna on stage è infatti la volta di “Well of souls”, qualcosa di davvero unico e spettacolare. A seguire ci si ributta sull’ultima fatica con la massiccia “Born in a tank” per poi avviarsi alla conclusione, che non poteva escludere altri pezzi forti del repertorio Candlemass. Innanzitutto una strepitosa “Samarithan”, infine, per chiudere in (nera) bellezza, prima “Crystal ball”, poi “At the gallow’s end”.
Conclusasi la serata, con una tracklist del genere, non ci si può non ritenere soddisfatti. Chi c’è stato ha assistito ad un evento con la E maiuscola. I paladini del DOOM sono tornati e l’hanno fatto nel migliore dei modi.

“Visions and dreams you can see in the crystal ball”.

Alessandro Zoppo