HEAVY PSYCH SOUNDS FEST VOLUME III
Parma – Arci Mu

Gran bel festival, all’insegna di molti fra i più interessanti nomi della psichedelia italiana e straniera quello che si è svolto a Parma il 28 e il 29 ottobre. Dopo l’ultima esperienza romana, ad aprire le porte alla terza edizione dell’Heavy Psych Sounds Fest è stato il Mu, circolo Arci di Parma. Locale accogliente, con due palchi separati calcati a ritmo alternato dalle sette band che si sono esibite nella serata di chiusura dell’evento. All’ingresso, dischi gratis e alcuni stand con cd, vinili e magliette.
I primi ad entrare in scena sono stati i nostrani Ananda Mida, che hanno presentato i brani del loro primo LP, “Anodnatius”, carico di un sound acido, a cavallo tra il più classico rock psichedelico di ascendenza anglosassone e più marcate venature stoner. A seguire, lo sludge proveniente dai Paesi Bassi dei più navigati Komatsu, già approdati al loro secondo full-length: performance accurata quanto energica, ma resa meno appetibile da un’acustica poco consona all’impronta sonora del genere. Scandinava la band successiva: i Deville, provenienti dalla fredda Malmö, non si sono di certo sottratti dal realizzare un live degno della loro produzione. Svariati i pezzi tratti dal loro ultimo album targato Fuzzorama Records, “Make It Belong to Us”, dall’impasto heavy rock con sfumature che, a tratti, sembrano avvicinarsi a un sound più moderno, sulla scorta del post-hardcore. Di nuovo, però, l’acustica poco consona ha generato un risultato meno incisivo di quanto avrebbe potuto essere. La linea di basso è stata praticamente risucchiata dalla massa sonora, si percepiva solo un forte brusio. Anche i Duel, gruppo texano giunto da poco allo scoperto col primo disco “Fears of the Dead”, non è rimasto indenne da questa problematica. Forse anche i volumi hanno toccato picchi troppo alti in rapporto alle piccole dimensioni del locale. In ogni caso il loro sound ruvido, a mezza strada tra stoner e garage rock di più antica ascendenza, è stato abbastanza godibile, tranne per alcune imprecisioni del batterista, tanto aggressivo quanto poco attento alla scansione ritmica.
Più interessanti e di sicuro impatto i miracolosi Fatso Jetson, in attività dall’ormai lontano 1994. La loro formidabile mescolanza di più istanze (dal funk, al blues, al punk) pronte a far capolino nel generale impianto psichedelico, ha spodestato con una resa live davvero entusiasmante. Una dinamica decisamente animata quella dei fratelli Lalli and co., carica delle suggestioni oniriche da Desert Session e impreziosita dalla strumentazione giusta, sfuggita alle pecche del fonico. La performance ha riportato alla luce vecchi cavalli di battaglia, ma anche nuove perle tratte dall’ultimo disco, “Idle Hands”, fresco fresco di uscita proprio sotto l’etichetta Heavy Psych Sounds. E poi, dalle brulle distese californiane, ecco che si torna in Italia con i milanesi Giobia. Acidi sì, ma anche sognanti, con immancabili squarci nella tela del più canonico rock psichedelico, pronti a condurci tra i continenti inesplorati di sonorità quasi post rock, ma ancor più tra nebulose e lontanissimi pianeti al ritmo cadenzato di uno space rock davvero originale. Tuttavia, a risentire dell’acustica “implosiva”, sono stati proprio loro, forse anche a causa di particolari accorgimenti strumentali.
A concludere la serata, infine, i tanto attesi The Atomic Bitchwax, con un Finn Ryan in ottima forma piazzato davanti ad un ventilatore, generatore di effetti scenici quasi ludici. Come sempre irriverenti, come sempre divertenti, come sempre incazzati e portavoce di un genere che loro stessi definiscono come “super stoner rock”, i tre hanno fatto faville. La scaletta è stata varia ed ha inglobato pezzi di album storici, come quello omonimo di esordio (“Hope You Die” e “Gettin’ Old” hanno mandato in visibilio il pubblico), seguito da “II” e “III”, fino al più monolitico “Gravitron”. Tuttavia – e spiace dover essere ripetitivi – anche in questo caso il fonico “si è fatto sentire”. I suoni non erano ben calibrati, i volumi troppo alti. Che dire? Forse sarà stata anche colpa della location che, con i suoi soffitti bassi e con le sue pareti strette, non ha permesso una buona diffusione dei suoni, che si sono ammassati in un’unica coltre troppo compatta. Certo è che il genere è di per se difficile da equalizzare, visto che i suoni giocano un ruolo indispensabile e che gli effetti di certo non mancano. Al di là di questo appunto, che non potevo evitare di fare, il festival è riuscito alla grande e ha attirato un vasto pubblico. Le band sono state notevoli e non vediamo l’ora che arrivi la quarta edizione.

Valeria Eufemia