APE SKULL – Fly Camel Fly

Dopo il bell’esordio omonimo del 2013, i romani Ape Skull hanno sfornato un altro album di classe. Intrappolati nel triennio 68/70, riescono a produrre qualcosa di buono senza risultare calligrafici. Sarà per la bravura di Fulvio, capace di dare un tocco psichedelico con la sua chitarra SG vintage, o sarà l’amalgama perfetta tra Giuliano e Pierpaolo, autori di una base ritmica impeccabile, ma il concetto di retro rock viene assorbito e superato dalla scrittura musicale. “Early Morning”, ad esempio, è puro American way of life con una spruzzatina di calor latino. Certamente siamo lontano dai Los Natas che hanno esplorato questo concetto in maniera radicale. Qui siamo sull’onda lunga di Grand Funk Railroad (la title track è Farner/Schacher che di più non si può!), MC5, Taste, Sir Lord Baltimore, Blue Cheer, Montrose, qualcosina dal primo Alice Cooper e qualcos’altro in odor di glam.
Insomma, “Fly Camel Fly” è puro high energy rock’n’roll. Con il giusto pegno pagato in onore dei padri attraverso la gustosa cover di “Driver”, amplesso lisergico di uno dei gruppi americani più sconosciuti, ovvero i Damnation of Adam Blessing, autori di quattro album tra il 1969 e il 1973, uno più bello dell’altro. Gli Ape Skull la mettono a chiusura della prima facciata del vinile come a dire: “Ecco da dove veniamo, girate gente e sentirete dove stiamo andando”. “Kids on the Kitchen” in apertura del lato B strizza le palle in due minuti e mezzo alla maniera del punk rock. La successiva “Tree Stomp” è gigionesca come un incrocio tra Twisted Sister e Captain Beyond; “A Is for Ape” e “Heavy Santa Ana Wind” si fanno apprezzare sin dal titolo, la conclusiva “Looking Around” è un vero e proprio invito a guardarsi intorno se questa realtà non vi piace. Anzi, meglio guardarsi indietro se volete scoprire delle gemme del passato, schizzate improvvisamente nel nostro presente chissà in quale porta spazio/temporale.

Eugenio Di Giacomantonio