BLACK RAINBOWS – Carmina Diabolo

A tra anni dall’esordio ‘Twilight in the Desert’, i Black Rainbows tornano alla carica. Forti dell’appoggio della francese Longfellow Deeds Records, confezionano un secondo lavoro che è manna dal cielo per gli amanti dello stoner rock classico, quello roccioso, caldo e vibrante di matrice Kyuss, Fatso Jetson, Fu Manchu e Nebula. ‘Carmina Diabolo’ è un prodotto che rilancia per l’ennesima volta il sempre più florido panorama italiano. Un disco che non sfigura accanto a produzioni americane, scandinave, olandesi, tedesche o inglesi. Confezione accurata (splendido l’artwork di Angryblue), produzione eccellente, dieci canzoni che restano impresse sin dai primi ascolti.Gabriele (voce, chitarra), Daniele (batteria) e Marco (basso) rielaborano la lezione heavy psych con sensibilità sopraffina, andando a pescare dall’hard rock di matrice 70s e condendo il tutto di saporite spezie psichedeliche. Si parte alla grande scalando la vetta dell’Himalaya, aria rarefatta e satura d’elettricità, i riff che gonfiano le casse e rendono “Babylon” un caos d’altri tempi. “Under the Sun” è il suono dell’afa, veloce e spiazzante: è il rock’n’roll. Affascina così tanto da restare bloccati, immobili e ipnotizzati dinanzi alle dinamiche mistico lisergiche di “What’s in Your Head”. “Bulls & Bones” (già presente nel terzo volume della compilation di Perkele ‘Desert Sound’) è una mazzata heavy grassa e stentorea, così come l’hendrixiana “In the City” e la selvaggia “The Witch”.
La coda dilatata ed evocativa di “Return to Volturn” è un piccolo antipasto per il trip cosmico della conclusiva “Space Kingdom”, viaggio fuori controllo tra chitarre titaniche e ritmiche pulsanti. Un colpo al cuore e soprattutto alla mente, che fa dei Black Rainbows tra le migliori stelle del firmamento stoner italiano. Heavy mothafuckin’ psych, baby!

Alessandro Zoppo