Brant Bjork and The Operators – Brant Bjork and The Operators

Anche Brant Bjork, come Josh Homme nei QOTSA, cerca una via personale alla musica rock per emanciparsi definitivamente dall’etichetta stoner. Se però l’ex chitarrista dei Kyuss al momento c’è riuscito egregiamente, non è lo stesso per l’ex batterista che aggiunge alle chitarre distorte orecchiabilità e furbizia squisitamente pop non sempre centrando il bersaglio.

Accompagnato per l’occasione dagli invisibili The Operators – in verità solo Mario Lalli dei Fatso Jetson e Franz Stahl dei Wool – il secondo disco solista di Bjork è basato su una manciata di canzoni rock dirette e semplici e composizioni strumentali di più ampio respiro che ricordano quelle delle Desert Sessions.

La formula è quella del pop-rock ‘alternative’ tipicamente americano, godibile da ascoltare alla radio (Smarty Pants), appiccicoso ai primi ascolti ma poco sostanzioso come i brani dei Foo Fighters (My Ghettoblaster e From the Ground Up), pieno di ritornelli aperti da cantare in macchina con volume a palla e, perché no, anche sanamente cazzone (Cheap Wine). Joey’s Radio racchiude tutte queste caratteristiche ed è per questo che è uno dei brani più riusciti del disco.

L’eclettismo di Bjork raggiunge i risultati migliori dove la musica prende il sopravvento rappresentando a conti fatti la parte migliore. La strumentale Electric Lalliland è un bellissimo esercizio di prog-psichedelia con tempi dispari, chitarre al contrario e bleep elettronici; con Cocoa Butter ci si immerge nel lounge esotico, molto vicino ad alcuni momenti dei Tortoise di TNT o dei Mr. Bungle in chill out; la conclusiva Hinda 65 (Return Flight) profuma invece di soul da piano bar americano di periferia, fumoso e lugubre, andamento vellutato – smooth direbbero negli Usa – retto da un legnoso basso funky ed abbellito da svisate di piano elettrico in serata di grazia.

Brant Bjork and The Operators ha diviso parecchio i fan ed estimatori dello stoner – a giudicare dagli interventi su un paio di newsletter e forum “che contano” – tra chi lo considera un disco messo su per gioco e chi invece sembra aver capito ed apprezzato il vento di cambio radicale che vi soffia attraverso.

Condivisibile quest’ultimo giudizio ma bisogna anche mediare su diverse posizioni. È considerevole il fatto che Bjork si dimostri uno dei musicisti più aperti ed ispirati della scena però mettendo le orecchie fuori dal genere di roba così se ne trova a bizzeffe e per di più questa suona già fuori tempo massimo. Ideale per mettersi di buon umore, a volte serve anche questo, ma nulla di più.

 

Francesco Imperato