DEAD MEADOW – Howls from the hills

Sognante e cadenzato, arriva il secondo album dei folletti Dead Meadow che avevamo molto apprezzato nel loro primo omonimo lavoro, un concentrato di pura psichedelìa americana che lasciava intravedere la voglia di riscoprire le radici folk da cui il movimento psichedelico di trent’anni fa era sorto e si era evoluto. Una nuova ripartenza. Con Howls From the Hills la destrutturazione del linguaggio musicale americano si fa consapevole intenzione e costituisce la base da cui i Dead Meadow partono per il loro trip.
Al suon di droni e sitar si apre la iniziale Drifting Down Stream, una lunga, siderale distesa analogica condotta dal riconoscibilissimo timbro nasale di Jason Simon ( non l’avrei detto, Ozzy ha fatto scuola anche in questo!); i Led Zeppelin fanno capolino nella seguente Dusty Nothing, una delle due mosche bianche più rock insieme a Everything’s Goin’On, perchè il resto del disco è un intenso viaggio psichedelico che sprizza acidità nel suo scorrere lento e seziona la musica tradizionale a stelle e strisce contorcendola, avvolgendola, allungandola fino a creare un effetto di beato stordimento.

Trasuda di country-folk The White Worm e delta- blues il tema principale di
The Breeze Always Blows ma sorprende profondamente il folk di The One I Don’t Know: le accordature aperte delle chitarre tessono assieme al sitar melodie agresti vissute su una sedia a dondolo e sussurrate al vento che spira sull’immenso nulla della prateria americana. In una parola, roots!

I Dead Meadow si confermano tra le nuove leve neotradizionaliste fuori dal coro che partendo dal cuore della musica popolare del loro paese cercano nuovi orizzonti. ‘Howls From the Hills’ accompagnerà le notti di chi vorrà viaggiare solitario senza muoversi da casa. Non si può chiedere altro!

Francesco Imperato