DEVILS SON IN LAW – Devils son in law

Gradita sorpresa l’EP di debutto dei Devils’ Son In Law (gran bel nome…), terzetto americano che giunge all’esordio con un dischetto di cinque pezzi. Quanto proposto suscita sensazioni particolari nel cuore dell’ascoltatore: navigano di fronte alle nostre orecchie frammenti di heavy rock, sludge, stoner e post core. Un mosaico in salsa totalmente strumentale, interrotto solo da alcuni samples che danno un sapore cinematografico al tutto.Giusto per far capire su quali terreni si muove questa strana entità, potremmo citare Zebulon Pike, Karma To Burn, Pelican, Keelhaul o Stinking Lizaveta. Insomma, un calderone eccentrico ed estremo, dove si incontrano/scontrano generi e stili differenti. Tuttavia, se le intenzioni sono da lodare (è evidente quanto di buono ci sia nel songwriting del gruppo), l’esecuzione non è pienamente riuscita. Si ravvisa una certa confusione, come se i tre (Boris alla chitarra, MF al basso e Slurmz alla batteria) non sapessero ancora bene su quali sentieri indirizzare la proprio contorta creatività. Complice in questo anche una produzione non all’altezza che inficia la qualità complessiva delle composizioni.
Non per questo i cinque brani dell’EP sono da buttare. L’iniziale “Smell of blood”, pur se scheletrica e minimale all’eccesso, produce un agghiacciante senso di saturazione elettrica. “Gibraltar #2” è cupa e ossessiva (anche troppo…), “La Termedia” picchia duro senza alcun compromesso, grazie soprattutto ai riff di chitarra che cadono massicci e copiosi. L’intermezzo ansiogeno di “Rollo (Interludes)” prepara la chiusura affidata a “The black sea”, alternanza caotica di ritmiche grasse e brusche ripartenze.
Occorre migliorare la registrazione per ottenere un prodotto che sia competitivo e pienamente completo. Per ora i Devils’ Son In Law dimostrano capacità e buone intenzioni, attendiamo nuovi segnali per avere tra le mani un cd meno dispersivo e più messo a fuoco.

Alessandro Zoppo